Lo scenario più estremo dell’ultimo rapporto dell’IPCC prevede entro il 2100 un incremento dell’innalzamento del livello dei mari di 98 centimetri. James Hansen, eminente climatologo già direttore del Goddard Institute for Space Studies (GISS) della NASA, prevede un possibile aumento del livello del mare di 5 metri entro cinquanta anni, se si raggiungessero e superassero i 2°C di aumento della temperatura. Ciò vorrebbe dire la perdita della maggior parte delle città costiere. Per i piccoli stati insulari e le regioni dei delta dei fiumi, l’innalzamento del livello dei mari potrebbe avere conseguenze catastrofiche, soprattutto se associato all’intensificarsi di fenomeni meteorologici estremi come i tifoni. Con un aumento delle temperature di 4 gradi, sarebbero a rischio il Mediterraneo, il Nord Africa e il Medio Oriente, ma anche i paesi dell’America Latina e i Caraibi.
A essere colpite anche tutte le attività economiche umane, a partire dall’agricoltura. E’ purtroppo facile prevedere che questo porterà intere popolazioni a subire enormi difficoltà nel soddisfacimento dei bisogni elementari, specie se – rileva il Rapporto – alla scarsità delle risorse e alla gravità dei fenomeni meteorologici estremi si assoceranno conflitti per il controllo delle risorse, aumento della violenza e disgregazione sociale. Gli effetti del cambiamento climatico interagiscono inoltre con altre variabili, di tipo socio-economico ma anche di politiche di uso del suolo e di gestione della risorsa idrica: cementificazione e pratiche agricole che riducono la capacità del terreno di assorbire l’acqua, accaparramento di terre e “land grabbing” sono tra quelle pratiche destinate ad amplificare gli effetti dei cambiamenti climatici, ponendo le premesse per migrazioni forzate.
Il report individua 5 “forme” di spostamento: migrazioni di carattere internazionale; a carattere permanente e di spostamento di interi nuclei familiari; sfollati interni e profughi a livello internazionale a causa di calamità naturali improvvise (il caso limite delle piccole isole del Pacifico, Kiribati o Tuvalu); ricollocazione di intere comunità per ridurre la loro esposizione a grandi rischi naturali e climatici. Il fenomeno migratorio è complesso e le cause sono interagenti (in Siria questioni politiche si sono intrecciate con la più forte siccità degli ultimi 40 anni), ma CeSPI, FOCSIV e WWF Italia chiedono alle istituzioni e propongono alla società civile una riflessione sugli strumenti legali internazionali: affinché non siano discriminanti verso le persone in difficoltà o che hanno necessità di spostarsi, ma riconosca i diritti a chi fugge dai sempre più frequenti disastri ambientali causati dai cambiamenti climatici; occorre creare nuovi regimi dei flussi a livello regionale fondati sul riconoscimento dei diritti dei migranti, integrati nei piani di adattamento al cambiamento climatico.