Cultura e Spettacolo

Requiem di Verdi al “Verdura” di Palermo, simbolo di morte e rinascita

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Ascoltare la Messa da Requiem di Verdi è sempre una esperienza suggestiva. Quasi si avesse la sensazione di essere di fronte ad una Summa dell’intera opera come del totale pensiero del compositore bussetiano. Ed in effetti tale è. Verdi per comporre questo enorme affresco religioso, ma anche estremamente laico, riunisce forse i ritagli, le impressioni musicali, i quadri, di quelle opere che già avevano acceso in lui quel senso di spiritualità inevitabile e ineluttabile – tra questi Don Carlo, Aida – quella stessa spiritualità contrastante, dubbiosa, che era stata propria dell’uomo e dell’artista cui la Messa da Requiem è stata dedicata: Alessandro Manzoni. E in un certo senso le parti che costituiscono l’opera, in una delle più tradizionali suddivisioni della Messe, rappresentano l’atto del penitente che si avvicina a Dio pur mantenendo un non so che di terreno, perchè il dubbio in fondo, e una certa difficoltà a credere ciecamente è propria dell’Uomo stesso.

Ascoltare la Messa di Verdi ti porta a sentire visceralmente il Trascendente come la Mortalità stessa dell’essenza fisica dell’Uomo, ma non del suo Spirito, della sua Anima. E ascoltarla avvolta dal verde lussureggiante di un giardino dagli odori e sapori mediterranei, in una serata calma d’estate, illuminata da una falce lunare che rischiara il cielo terso, mentre quasi su te incombono le alte mura e le pesanti architetture che avvolgono il palco del Teatro di Verdura a Palermo, ecco quello forse è il momento di farsi qualche domanda… In particolare allo scoppio dell’impetuoso Dies Irae che scaturisce fulmineo dal chiudersi quasi placido del Kyrie, o alla stilettata del Basso che introduce il Confutatis, passando per lo struggente Lacrimosa, sino a quella chiusura che tanti dubbi apre delle ultime note del Libera Me Domine. Dio risponderà alla richiesta? La musica sembra dire sì, sollevandosi, aprendosi, espandendosi, le note gravi e lo staccato della voce umana sembrerebbero negarlo.

Ecco la grandezza di Verdi, fedele a se stesso e ai suoi pensieri, ideali, sino all’ultimo. Dubbio estremo che al Teatro di Verdura di palermo è stato espresso dalla sottile voce, quasi spaventata, di Carmen Giannattasio, che sembra avere vissuto intensamente oltre che vocalmente ogni momento della sua parte. Il soprano avellinese ha infatti interpretato le pagine del Requiem con accenti quasi veristi, partecipando e compenetrandosi nel testo. La sua voce duttile, brillante ha saputo rendere bene i momenti drammatici, pur mancando alcune volte di una certa incisività, o spessore, vocale, non tanto nel registro acuto quanto nei centri e gravi. Momenti in cui, specialmente in duo con il mezzosoprano Marianna Pizzolato, o nei concentrati, la voce quasi spariva in sottili nouances, forse volute, ma non perfettamente udibili.

Certo un concerto all’aperto non sempre è l’ideale per voci che sanno esprimersi più in luoghi chiusi, specie se l’impianto di amplificazione non è calibrato al millesimo, e con le nuove direttive di distanziamento. Problema che ha probabilmente colpito anche il basso Gianluca Buratto, espressivo e partecipe, ma apparso un po’ incerto nelle entrate del Confutatis o del Lacrimosa, e alle volte instabile nell’equilibrare una vocalità importante tendente, in alcuni momenti, più al range baritonale che a quello di basso, specialmente nelle discese verso il registro grave. Al tenore Renè Barbera, toccava una delle pagine più difficili, l’Ingeminisco, risolto più che brillantemente con ricchezza espressiva ed una vocalità chiara, quasi angelica – si potrebbe osare dire, se non fosse per il teschio in paillettes argentate e nere, trafitto da una rosa, che il tenore americano sfoggiava sul retro di una altrimenti classica camicia nera – nella sua lucentezza.

Ultima, ma non ultima, del quartetto di solisti del Requiem, la palermitana Marianna Pizzolato. La sua voce piena, rotonda, ma abile ad assottigliarsi in piani e mezzevoci intensamente espressive, sembrava quasi dominare negli insiemi e concertati, come nelle parti semi solistiche del Kirye, nel contraltare con il basso del Lacrimosa, sino al Lux aeterna. Su tutti la concertazione di Omer Meir Wellber. Il direttore israeliano, nonché direttore musicale del Teatro Massimo, e artefice, insieme al sovrintendente Francesco Giambrone, delle scelte operate pre e post Covid, con questo Requiem aggiunge un altro tassello al cambiamento, soprattutto sonoro, dell’Orchestra del Teatro Massimo, che innegabilmente da quando lavora con lui ha assunto una consapevolezza e un equilibrio d’insieme come mai prima, anche se all’inizio – probabilmente dovuto ad un non preciso assestamento dei microfoni piazzati nella sezione coro e appesi in diagonale sull’orchestra – non era sembrato, così come per il Coro, diretto da Ciro Visco, ma l’esplosione del Dies Irae, ha mutato la percezione.

Il teatro Massimo continua quindi a brillare di “Nuova Luce”, in questa estate, avvicinandosi, dopo l’appuntamento del 2 Agosto con il Balletto e la nuova coreografia, Ripar – Tanze, di Davide Bombana – nuovo direttore della Compagnia del Massimo – ai due eventi lirici: Cavalleria rusticana interpretata dalla coppia Alagna/Kurzack (il 9 e 11 agosto) e il Gala Lirico (12 Agosto) offerto da un’altra coppia operistica, Anna Netrebko e Yusif Eyvazov, - che concludono a Palermo il giro italiano iniziato a Napoli con la Tosca – in una miscellanea delle più belle pagine della lirica.

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