La quota di perdite idriche totali nelle reti comunali italiane di distribuzione dell’acqua potabile nel 2022 è stata di 3,4 miliardi di metri cubi, il 42,4% dell’acqua immessa in rete, un quantitativo che soddisferebbe il fabbisogno idrico di 43,4 milioni di persone per un anno. L’indicatore è in leggerissima risalita rispetto al 2020 (quando era al 42,2%), a conferma del persistente stato d’inefficienza di molte reti di distribuzione. Lo scrive l’Istat nel suo report sull’acqua in occasione della giornata mondiale dell’acqua. Le reti comunali di distribuzione erogano ogni giorno, nel 2022, per gli usi autorizzati, 214 litri di acqua potabile per abitante (36 litri in meno del 1999) si legge nel report.
Nel 2022, sono stati immessi nelle reti comunali 8,0 miliardi di metri cubi di acqua per uso potabile (371 litri per abitante al giorno), con un calo dell’1,4% rispetto al 2020. A causa delle dispersioni in distribuzione, agli utenti finali sono erogati complessivamente 4,6 miliardi di metri cubi di acqua per usi autorizzati. Il volume erogato si riduce dell’1,6% rispetto al 2020, proseguendo la lenta contrazione dei consumi di acqua che si osserva ormai da oltre vent’anni. Rispetto al 1999 il volume erogato registra una diminuzione del 13% in volume. In nove regioni le perdite idriche totali in distribuzione sono superiori al dato nazionale, con i valori più alti in Basilicata (65,5%), Abruzzo (62,5%), Molise (53,9%), Sardegna (52,8%) e Sicilia (51,6%). Di contro, tutte le regioni del Nord hanno un livello di perdite inferiore, con Veneto (42,2%) e Friuli-Venezia Giulia (42,3%) in linea col dato nazionale. Nella provincia autonoma di Bolzano/Bozen (28,8%), in Emilia-Romagna (29,7%) e Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (29,8%) si registrano le perdite minori.
A perdere più acqua la Basilicata
Nel 2022, il volume di acqua prelevata per uso potabile in Italia è stato pari a 9,14 miliardi di metri cubi, per un prelievo giornaliero di 25,0 milioni di metri cubi, pari a 424 litri per abitante. L’acqua viene impiegata per assicurare gli usi idrici quotidiani della popolazione, ma anche di piccole imprese, alberghi, servizi, attività commerciali, produttive, agricole e industriali collegati direttamente alla rete urbana, nonché le richieste pubbliche (scuole, uffici pubblici, ospedali, fontanili, ecc.). Nel 2022, è proseguita a lenta e modesta contrazione dei volumi prelevati registrata a partire dal 2018. Nonostante il volume prelevato si sia ridotto dello 0,5% rispetto al 2020 (-4% rispetto al 2015), l’Italia si riconferma – da oltre un ventennio – al primo posto nell’Unione europea per la quantità, in valore assoluto, di acqua dolce prelevata per uso potabile da corpi idrici superficiali o sotterranei (escludendo quindi i prelievi da acque marine).
Tra i Paesi Ue27 dell’area mediterranea, l’Italia è tra quelli che utilizzano maggiormente acque sotterranee, prelevate da pozzi e sorgenti. In termini pro capite, il divario tra i Paesi Ue27 è ampio e l’Italia – con 155 metri cubi annui per abitante – si colloca in terza posizione, preceduta solo da Irlanda (200) e Grecia (159), e seguita a netta distanza da Bulgaria (118) e Croazia (111). La maggior parte degli Stati membri (20 su 27) ha prelevato tra 45 e 90 metri cubi di acqua dolce per persona per l’approvvigionamento pubblico. Nella parte bassa della graduatoria si colloca la maggioranza dei Paesi dell’Europa dell’Est. Malta chiude la classifica con 27 metri cubi annui a persona. Il volume totale di acqua reflua confluito in tutti gli impianti di depurazione in esercizio è pari a 6,7 miliardi di metri cubi; tale valore è nettamente superiore (il 43% in più) a quello dell’acqua potabile erogata agli utenti finali (4,7 miliardi di metri cubi) e scaricato, nella maggior parte dei casi, nella rete fognaria pubblica.
Ciò è dovuto al fatto che nella fognatura comunale confluiscono anche una parte degli scarichi industriali, diversi corsi d’acqua tombati nelle aree urbane e le acque parassite. Il 70% del volume confluito negli impianti di depurazione, corrispondente complessivamente a 4,7 miliardi di metri cubi (poco meno del volume del lago di Bracciano), subisce un trattamento di tipo avanzato, producendo delle acque di scarico con un miglior livello di qualità rispetto agli altri tipi di trattamento, per il maggiore abbattimento dei carichi inquinanti. Tale volume può essere considerato una risorsa potenzialmente disponibile per successivi riutilizzi ed equivale a poco meno di un quarto (22%) dei prelievi complessivi effettuati in media nel periodo 2015-2019 per gli usi irrigui e industriali. Nel 2021, il 21,8% della spesa per la protezione dell’ambiente è destinato ai servizi di gestione delle acque reflue.