Richieste di dimissioni solo per gli altri. La triste fine degli ex giustizialisti pentastellati

Richieste di dimissioni solo per gli altri. La triste fine degli ex giustizialisti pentastellati
Il capo politico 5stelle, Luigi Di Maio
22 luglio 2018

“Primo governo senza indagati dal ’94”. Lo strillo di Luigi Di Maio arrivava poco più di un mese e mezzo fa dalle splendide spiagge di Marina di Ragusa. E dire che proprio due giorni prima, l’1 giugno, mentre al Quirinale giurava il governo giallo-verde, la Camera riceveva una richiesta per procedere nei confronti del capo politico Cinquestelle in quanto indagato per diffamazione a mezzo stampa.

D’altronde, i seguaci del comico genovese sono cresciuti, soprattutto politicamente. Lo spirito del militante che marciava al grido “Onestà, onestà” sembra essere stato spazzato via da quello del politico che inizia a capire cosa vuol dire essere un amministratore pubblico. Eppure, in passato, non era così. I 5 Stelle sono nati e cresciuti proprio sbandierando la loro diversità rispetto ai partiti della Casta. Per grillini, non solo un indagato era indagato, ma doveva subito dimettersi. Ora, invece, è noto le decine di esponenti Cinquestelle indagati o con procedimenti giudiziari in corso: le sindache Chiara Appendino e Virginia Raggi per citare alcuni pezzi da novanta. Il sindaco di Bologna, Virginio Merola, era stato indicato dal M5s come rappresentante della peggior politica perché indagato per omissione d’atti d’ufficio per non essersi attivato con provvedimenti urgenti per lo sgombero di una palazzina. Pochi mesi dopo la sua posizione è stata archiviata.

Il viaggiatore pentastellato, Alessandro Di Battista, addirittura aveva disegnato una piovra di “impresentabili” per sbattere davanti le telecamere politici con procedimenti in corso e che poi, molti, sono usciti indenni dalle rispettive vicende giudiziarie. Tra gli altri, il consigliere regionale Pd della Campania, Stefano Graziano, che nel 2016 venne travolto dall’accusa di concorso esterno con la Camorra. Per il M5s divenne il simbolo della “Gomorra Pd”. Pochi mesi dopo la gogna mediatica, tutte le accuse vennero archiviate. La lista è lunga, le cronache degli ultimi anni ne sono la testimonianza. Nel mirino pentastellato anche Angelino Alfano. Il pluriministro era stato indagato due volte con l’accusa di abuso di ufficio, nel 2009 e nel 2015 ma, entrambe i casi, sono stati archiviati.

Ma non prima di aver subito, l’ex leader Ncd, una serie di attacchi dall’attuale vice premier: “In questo paese puoi essere un criminale condannato per frode fiscale, puoi essere Angelino Alfano, puoi essere una persona sotto indagine per corruzione, puoi essere una persona che si è macchiata di reati anche legati alla pubblica amministrazione o all’infiltrazione della mafia nella pubblica amministrazione dello stato e il ministro lo puoi fare…”, sentenziava Di Maio. Ha generato un vespaio anche il caso di Giosi Ferrandino, eurodeputato, ex sindaco di Ischia arrestato nell’inchiesta sulla coop Cpl Concordia. Quella vicenda divenne per il M5s il simbolo di un nuovo fenomeno criminale nazionale. In seguito la Cpl Concordia è stata assolta in tutti i processi, compreso quello sui presunti legami con i casalesi. E così pure Ferrandino, che dopo aver vissuto l’umiliazione del carcere è ora un europarlamentare del Pd.

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