È stato recentemente pubblicato il libro di Gaetano Armao, “Redimibile Sicilia: l’Autonomia dissipata e le opportunità della insularità”, con la prefazione di F. Salvia, Rubettino (2017), pp. 205, del quale di seguito pubblichiamo alcune parti della premessa. Il libro raccoglie i risultati di una riflessione sull’autonomia siciliana al tornante dei settant’anni dell’approvazione dello Statuto e del dibattito che si è sviluppato attorno alla proposta di revisione costituzionale seguita dall’esito del referendum confermativo, ed oggi, dall’esigenza, che permane intatta, di una profonda riforma dell’autonomia differenziata e del riparto di competenze nel mutato contesto istituzionale e socio-economico nazionale ed europeo. Trascorso un notevole lasso di tempo dall’elaborazione dello Statuto autonomistico, attraverso la concreta attuazione e alcuni fallimenti, di fronte all’esito del controverso tentativo di riformare le Regioni, occorre ancora chiedersi se l’autonomia sia ancora utile ai siciliani e di quali riforme necessiti per accrescerne il rendimento istituzionale. E ciò nel contesto di grave disagio che attraversa oggi il Mezzogiorno, opportunamente definito da S. Cassese come “il maggiore fallimento dello Stato unitario”, tra tentativi di superamento del divario, fasi di impegno e di disimpegno istituzionale, prospettive meridionaliste, neo-meridionaliste, cadute il quella che A.O. Hirschmann definiva “fracasomania”, centralità e marginalità nell’agenda politica, che hanno determinato non solo che l’Italia resti l’unico Paese marcatamente duale d’Europa, ma anche quello nel quale, pur di fronte ad alcuni barlumi di ripresa che si intravedono, sebbene relativi ad aree territoriali e comparti circoscritti, si registra complessivamente l’aggravamento del divario tra nord e sud…[irp]
Pur senza giungere alla non condivisibile conclusione che ciò sia ascrivibile a una sorta di minorità antropologica, o anche soltanto culturale, si riterrebbe ottimale una soluzione di centralismo statale che, tuttavia, non trova riscontro in nessun altro assetto statuale europeo al contrario connotati da dinamiche diametralmente opposte di tipo disaggregativo (basti pensare al Regno Unito, alla Spagna e alla stessa Francia). Il “fallimento dell’autonomia” , in tal guisa, ne giustificherebbe non la riforma, il ripensamento con l’adozione di modelli innovativi, ma la semplice soppressione, formalizzando quella equiparazione al ribasso che il “bradisismo costituzionale” italiano ha determinato tra enunciazioni formali di rafforzamento (emblematica la riforma del Titolo V, parte seconda della Costituzione) e prassi interpretative, suffragate soprattutto dalla lettura fattane dalla Corte costituzionale, oltre che dal self-restraint delle stesse Regioni speciali, o quantomeno, di quello delle più deboli tra queste. Tale tendenza ha frastagliato ancor di più il variegato scenario del regionalismo italiano che le contrastate vicende del c.d. “federalismo fiscale” (l. n. 42 del 2009 e s.m.i. e la complessa normativa di attuazione), rimasto irrisolto nella sua geometria e nella parziale attuazione, hanno accentuato…[irp]