Riforme, si cambia. Più poteri al Senato ma Renzi teme Grillo

Bocche cucite. Da palazzo Chigi nessuna indiscrezione. Dal Quirinale rimandano a un comunicato scritto. Cala il massimo riserbo sul faccia a faccia di oltre un’ora tra il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio. Vengono diffuse solo alcune frasi che il premier avrebbe pronunciato con le persone a lui più vicine, mostrandosi “tranquillissimo” sull’iter da seguire dopo l’incontro al Colle e spiegando di essere “a un passo dal chiudere positivamente la partita delle riforme”. Cosa vuol dire? Significa che ormai appare abbastanza chiaro che la riforma del Senato e quella del Titolo V approvate dal governo saranno riscritte.

A palazzo Madama verranno concessi nuovi poteri oltre a quelli immaginati nella prima versione del testo. Renzi ormai viene descritto come ossessionato da Beppe Grillo. Ieri la sua fedelissima Simona Bonafè è tornata ad attaccarlo: “Se Grillo rivolta l’Europa così come ha rivoltato l’Italia, stiamo freschi. In un anno di attività, il M5S ha prodotto tante chiacchiere solo per bloccare le riforme”. I sondaggi pubblici danno i Cinque Stelle al 27 per cento; ma in quelli che girano nei partiti, la valutazione è più alta: ormai i grillini sarebbero a ridosso del Pd. E proprio il partito del premier, dopo un’iniziale spinta, sembra ridimensionarsi, seppur leggermente.

A sua volta, il premier si sarà trovato un presidente della Repubblica pure lui ossessionato, ma dalla necessità di vedere la fine del capitolo riforme. Napolitano, si sa, vorrebbe chiudere il suo secondo mandato rapidamente. Comunque, non oltre il compimento del suo novantesimo compleanno, il 29 giugno dell’anno prossimo. E vorrebbe lasciare un’Italia riformata. Ciò significa che al Colle guardano con favore la prosecuzione del percorso già delineato. Volontà che coincidono, insomma. Per tramutarle in fatti è necessario trovare i punti in comune. Inoltre, va considerato che Renzi si trova davanti a troppi fronti aperti: quello interno al Pd, Berlusconi, Grillo.

Bisogna spegnere qualche conflitto, a cominciare da quello in casa, andando incontro alle richieste dei trenta senatori democratici che sostengono il testo alternativo messo a punto da Vannino Chiti (sta mediando Francesco Russo assieme ad Anna Finocchiaro). Come? Anzitutto, assegnando più poteri a palazzo Madama. Per esempio, dando la possibilità al Senato delle Autonomie di esprimersi anche sulla legge elettorale e sull’ordinamento degli enti locali. La Camera alta potrebbe ritrovarsi anche ad avere voce in capitolo sui trattati internazionali. C’è poi la questione che riguarda il Titolo V: il Parlamento potrebbe varare una legge ordinaria che precisi nei dettagli cosa sia di competenza dello Stato e che cosa delle Regioni.

Potrebbero tornare al Senato anche i poteri di elezione dei membri della Corte Costituzionale, del Csm, delle Autorità indipendenti e anche del presidente della Repubblica, non abbassando il quorum alla quarta votazione, in modo da contenere lo straripante potere della Camera che ha il doppio dei componenti e dunque potrebbe eleggere il Capo dello Stato autonomamente. Potrebbe essere anche modificata, e non di poco, la composizione stessa dell’aula. Il Quirinale potrebbe infatti attestarsi sulla possibilità di nominare cinque membri. Sembra anche raggiunta l’intesa sull’eleggibilità dei senatori, contestuale all’elezione dei consiglieri regionali. In pratica, quando ci saranno le elezioni locali, i partiti designeranno i listini dei consiglieri che poi andranno a Roma a rappresentare la Regione.

Per portare a termine la mediazione, c’è tempo fino a dopo domani, quando il gruppo democratico tornerà a riunirsi assieme al premier-segretario. Per martedì bisogna dunque chiudere sul testo – con un voto – in modo da far ripartire la macchina delle riforme. Un voto da sbandierare subito dopo in Parlamento e soprattutto al Paese. Sarà dura, perché Grillo è pronto a mettersi di traverso e a fare di tutto pur di bloccare il Pd, in modo da poter gridare l’inconcludenza del suo segretario, del suo presidente del Consiglio e del suo governo. (Il Tempo)