Senato e Titolo V. Tempi lunghi e ostruzionismo

15 luglio 2014

Il ddl costituzionale del ministro Boschi approda in Aula al Senato, dove la discussione comincia con due incognite: tempi e dissidenti. Restano le polemiche trasversali, ma il pacchetto di riforme si avvia al voto a palazzo Madama con l’inizio della discussione generale. Resta ancora l’incognita sui tempi viste le circa trenta ore di discussione che si renderebbero necessarie con i 124 iscritti a parlare, considerato che il tempo massimo per un intervento è, da regolamento, di 20 minuti. Ma non tutti avrebbero però intenzione di usarlo. “Non sfugge a nessuno di noi il rilievo e la portata modificativa di questa riforma. Senza dubbio la più significativa dall’inizio della storia repubblicana per quello che riguarda il Parlamento – dice Anna Finocchiaro, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, nella sua relazione nell’Aula – A nessuno di noi sfugge la responsabilità che stiamo assumendo nel ridefinire, così profondamente, l’assetto costituzionale”, una “innovazione positiva, utile a ridare slancio all’agire dell’istituzione parlamentare”. Il testo approdato in Aula è completamente diverso da quello del governo che aveva “peccati originali”, rivendica invece l’altro relatore Roberto Calderoli (Lega).

Nel frattempo i dissidenti si organizzano. Per il momento con l’intenzione di tenere il profilo basso, ma pronti a dare battaglia quanto prima. Tito Di Maggio (Popolari) riunisce tutti i frondisti per coordinare il lavoro sugli emendamenti da presentare in Aula. Così, mentre Renzi e Berlusconi preparano il serrate i ranghi per blindare il patto del Nazareno, il gruppo eterogeneo dei dissidenti non demorde. Ma quanti sono? Nei corridoi e nei conciliaboli di Palazzo Madama gira un numero: 108. Tanti sono i senatori che votando contro in seconda lettura renderebbero obbligatorio il ricorso al referendum confermativo. “Raggiungere questo risultato al primo voto – spiega un senatore del Pd del gruppo dei dissidenti – sarebbe molto importante perché è il segno che la riforma è la riforma di una parte, e non di un vasto arco del parlamento”. Allo stato pare però poco probabile che la maggioranza Pd-FI non riesca ad approvare il testo del ddl Boschi, in particolare nel suo snodo più delicato, l’articolo 57 sulla elettività dei senatori. Ma allo stesso modo sembra scontato che i numeri siano di molto inferiori alla somma numerica dei partiti coinvolti dal patto sulle riforme. I primi interventi in discussione generale lo hanno confermato. Dissentono anche i 15 senatori della Lega Nord.

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E Calderoli, autodefinitosi relatore “killer”, si rimette sostanzialmente all’Aula sul nodo decisivo dell’elettività, chiedendo però modifiche importanti su altri punti, come sul numero di firme per chiedere un referendum e sulla norma transitoria che dovrebbe portare al primo nuovo Senato. I leghisti scalpitano e anche Ncd alza i toni. La battaglia – a viso aperto e senza voto segreto – si appresta a cominciare: i dissidenti Pd ripresenteranno gli emendamenti già depositati in commissione. Ma prima dovranno superare lo scoglio dell’assemblea convocata dal capogruppo Luigi Zanda di prima mattina, quando il gruppo del Pd andrà al voto: chi in Aula si porrà fuori dalla decisione della maggioranza, si sarà autoescluso, spiegano dalla maggioranza dem. Dichiarazioni di guerra che sottendono un lavoro di diplomazia per scambiare l’ok alle riforme costituzionale con la modifica della legge elettorale. Il “punto di svolta per il voto” – a Palazzo Chigi ne sono sicuri – arriverà questa sera, quando Renzi parlerà ai gruppi parlamentari nella riunione congiunta con deputati e senatori del Pd.

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