Provare sulla propria pelle cosa significhi essere profughi per 24 ore. Lo ha fatto un gruppo di adolescenti norvegesi, con l’obiettivo di acquisire maggiore consapevolezza sulla crisi dei migranti che ha travolto l’Europa.
In una foresta fatta di buio e neve, piombano all’improvviso due veicoli militari a sirene spiegate, svegliando chi si era appena appisolato: il gruppo di finti profughi sudanesi deve allora ripartire in fretta e furia. Il viaggio è cominciato a un campo militare dismesso vicino all’aeroporto di Oslo, non lontano da un vero centro di accoglienza per migranti illegali, che attendono di essere rimpatriati. I finti profughi, a cui sono stati confiscati orologi e smarthphone, sono stati divisi in famiglie: “Io faccio il figlio in una famiglia, il mio nome è Aman. La mia famiglia sta fuggendo da un clan rivale, che ha incendiato e saccheggiato il loro villaggio. Ora stiamo fuggendo in Norvegia”, spiega Jens, 15 anni. “Non conosco rifugiati, ma credo che questa sia una situazione realistica”, aggiunge il coetaneo Ask. Nora dice invece di “essersi sentita oppressa. La guardia aveva molto più potere di noi e dovevamo obbedirle”. Il campo delle Nazioni Unite dove i finti profughi pensavano di avere trovato rifugio per la notte è infatti stato appena attaccato. Il fondatore di “Refugee Norway”, Kenneth Johansen, spiega: “Non abbiamo un’agenda politica, vogliamo semplicemente far capire cosa significhi essere un rifugiato e non un abitante della Norvegia, un paese ricco, dove puoi comprare quello che vuoi”.
“Se leggi un libro sui rifugiati, ricorderai il 20%. Ma se fai un’esperienza da profugo, ricorderai l’80%. Imparano facendo, quello di cui hai fatto esperienza, lo ricorderai per il resto della tua vita. Quando poi leggerai una notizia o qualcosa sui rifugiati, allora ricorderai quello che hai provato al campo profughi”, conclude.