“L’idea che dovesse essere Marcello Mastroianni il protagonista di Sostiene Pereira fu di Antonio Tabucchi, che diceva di aver scritto il romanzo pensando a lui. Dopodiché fui contentissimo quando Marcello accettò il ruolo, francamente pensavo che non potesse farlo a causa della sua malattia. E invece quando lui lesse il romanzo disse: ‘Io sono Pereira’”. Roberto Faenza ha rievocato la sua esperienza con l’attore nella Masterclass al bari International Film Festival di Bari svoltasi ieri al Teatro Petruzzelli moderata dal critico Marco Spagnoli e preceduta dalla proiezione del suo film del 1995, uno degli ultimi interpretati dall’attore. “Vittorio Cecchi Gori, che avrebbe dovuto finanziare parzialmente il film con 3 miliardi di lire dell’epoca, era contrario alla nostra scelta. Sosteneva che Mastroianni fosse troppo vecchio e che non era più attraente da tempo per il pubblico, disse addirittura che portava sfortuna e che avremmo dovuto prendere al suo posto un attore di ‘cassetta’, fece tra gli altri il nome di Diego Abatantuono. Ma io insistetti e ci lasciammo alla vigilia dell’inizio delle riprese con l’impegno del produttore a firmare il contratto da lì a breve. Invece lui sparì e ci lasciò nei guai, dovetti ipotecare la mia casa per poter completare il film. Che per fortuna, poi, andò bene nelle sale. In quanto a Cecchi Gori, rimasi un po’ perplesso quando dopo la morte di Mastroianni fece pubblicare un necrologio nel quale era scritto: ‘E’ morto il mio migliore amico’”. Cosa attirava Mastroianni del ruolo dello scrittore che si scontra con il regime salazarista nel Portogallo degli anni ’30? “Il contesto politico era per lui irrilevante, non si interessava molto di politica. Piuttosto gli interessava affrontare il ruolo di una persona anziana e prossima alla morte, come si sentiva lui. Perché Marcello, a differenza dei divi hollywoodiani, doveva sentire il suo ruolo, sceglieva i personaggi in base alle sensazioni che gli davano. E sul set era generosissimo e disponibile: non credo che molti altri attori, specialmente nelle sue condizioni di salute, avrebbero trascorso sette ore immerso in una vasca termale come ha fatto per il mio film.” “Io non ho mai conosciuto – ha proseguito il regista di Jona che visse nella balena e Prendimi l’anima – un attore come lui che era prima di tutto una persona e che viveva la recitazione solo come un mestiere. Ed era quanto di più lontano ci fosse dagli attori fondamentalisti dell’Actors Studio, come alcuni con i quali ho lavorato. Ricordo che quando girai Copkiller, Harvey Keitel, per prepararsi al ruolo, volle frequentare un corso per poi trascorrere un mese al seguito di una vera pattuglia della polizia di New York. Sul set, poi, chiese che la sua pistola avesse un vero colpo in canna, per cui dovemmo chiamare un armiere esperto per assicurarci che la pistola non avrebbe mai sparato. Appreso di ciò, una sera che eravamo insieme, Marcello chiese a Keitel: ‘Ma se devi interpretare una prostituta che fai? Vai a battere la sera prima?'”. Antidivo per eccellenza, Marcello Mastroianni era “diventato ancora più umano dopo la crisi che aveva vissuto tra gli anni ’70 e’80, quando lo chiamavano pochissimo. Visse una rinascita da vecchio ma finché il cinema glielo ha consentito, perché oggi avrebbe ancora più difficoltà di prima a lavorare. Ma in Portogallo era comunque popolarissimo nonostante da molti anni i suoi film non avevano molto successo in quel paese. Eppure la gente si accalcava ad osservarlo ogni volta che giravamo in esterni”. “Negli ultimi anni Marcello, con il quale sarei dovuto tornare a lavorare per un ruolo in Marianna Ucrìa, andò a vivere a Parigi. Io credo che avesse capito i danni che stava facendo la televisione al cinema, distruggendolo non solo economicamente ma facendolo scivolare verso l’appiattimento. Fare film coraggiosi o di denuncia diventa sempre più difficile”.