Quando una cometa si avvicina al Sole – prosegue l’Asi – le molecole ghiacciate, acqua, monossido di carbonio e biossido di carbonio, sublimano in superficie e in profondità trascinando nello spazio anche le particelle di polvere: tutti questi elementi formano nel loro insieme la chioma. Le molecole della chioma sono in origine neutre ma diversi processi di tipo fisico possono intervenire e rimuovere uno o più elettroni, ionizzando il gas. Gli ioni molecolari risultanti formano la magnetosfera della cometa dove inizia l’interazione con il vento solare ovvero il flusso di particelle cariche proveniente dall’alta atmosfera del Sole che porta con sé il campo magnetico della stella in tutto lo spazio interplanetario. Gli ioni della chioma si muovono ad una velocità più bassa rispetto al vento solare. Quest’ultimo tende così ad accumularli nel bow shock, dove nasce una netta differenza dei valori del campo magnetico tra i due ambienti di plasma. Il periodo successivo al perielio (il punto di massima vicinanza al Sole, raggiunto da 67-P e da Rosetta il 13 agosto scorso) dovrebbe essere favorevole dato che ci si aspetta che il bow shock si trovi più vicino alla cometa, entro un migliaio di chilometri. Oltre a cercare il bow shock, il team del Rosetta Plasma Consortium ha in programma una serie di misurazioni per identificare altre regioni di transizione. Mentre la risoluzione temporale dei dati sarà simile a quella ottenuta per altre comete, la risoluzione spaziale sarà certamente migliore dato che Rosetta si muove molto più lentamente della cometa.