Russia ed Egitto hanno rilanciato di recente i loro rapporti, a livelli dimenticati da decenni. Il presidente Vladimir Putin è stato in visita nel Paese nordafricano la settimana scorsa, per rafforzare una partnership sempre più evidente sul piano economico, ma anche politico. Il leader del Cremlino aveva giocato d’anticipo con Al Sisi, accolto con tutti gli onori nella primavera del 2014, ancora prima che diventasse presidente: una mossa che fece infuriare gli Usa, ma che pose le basi di un rapporto privilegiato ora evidente. Il Cairo si è unito oggi alla richiesta francese di una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu, per discutere “nuove misure” contro i jihadisti dello Stato islamico.
Una richiesta che non può dispiacere al Cremlino, dato che nel Consiglio di Sicurezza la Russia siede come membro permanente e, come tale, detiene il diritto di veto. In generale, Mosca insiste per ridare peso alle Nazioni Unite e nel 2011 si è opposta all’intervento occidentale in Libia, denunciando quello che era a suo avviso una mossa illegale, proprio perchè privo di mandato del Palazzo di Vetro.
Ma c’è un altro aspetto della crisi libica che Mosca segue molto da vicino: il petrolio. Oggi i siti russi danno forte evidenza al comunicato della compagnia libica National Oil Corporation, che mette in guardia dal pericolo che l’aggravarsi della crisi possa imporre un completo stop della produzione di greggio in Libia. Uno scenario che rilancerebbe il ruolo della Russia come fornitore energetico senza vere alternative per il vecchio continente. Una riflessione che riguarda l’Europa e certo l’Italia stessa, per cui l’import di gas da Libia e Algeria copre il 24 per cento del fabbisogno italiano, per il petrolio, invece, sommando Libia, Algeria, Egitto e Tunisia (ma da questi ultimi due Paesi la fornitura è poca cosa) si arriva al 27 per cento del fabbisogno nazionale.