Editoriale

Saltano voto su armi e nome sul simbolo, Conte prende altre batoste

Appare l’eterna incompiuta, l’opera di Giuseppe Conte per la costruzione della leadership personale nel MoVimento Cinquestelle. L’ex premier continua a incassare colpi come un pugile suonato, messo all’angolo dai ganci sferrati da pezzi da novanta dello stesso M5s e dal premier Mario Draghi che nell’ultimo periodo non gli dà tregua. L’ultimo schiaffo, arriva proprio dal capo del governo che con una mossa da maestro manda all’aria la strategia di Conte che avrebbe voluto trasformare una “trappola” proprio per Draghi il Consiglio europeo straordinario sulla guerra in Ucraina, in programma i prossimi 30 e 31 maggio. Il piano contiano consisteva, prevedendo un passaggio parlamentare dell’inquilino di Palazzo Chigi con relative comunicazioni sull’invio di armi a Kiev, di dare fuoco alle polveri in Aula, facendo emergere una maggioranza a pezzi, scenario che a Bruxelles avrebbe indebolito proprio il premier. Ma l’ex presidente della Bce, dalle spalle larghissime, come sempre tira dritto senza prestare il fianco a show elettorali dai banchi di Camera e Senato che potrebbero celare rischi seri per la compattezza della maggioranza. E così, applicando il semplice regolamento, si arriva a nessun passaggio parlamentare di Draghi, perché è previsto solo in caso di Consiglio Ue ordinario e non di Consiglio Ue straordinario come fissato proprio a fine mese. E così salta in aria il piano di Conte.

Un altro schiaffo si profila all’orizzonte. Infatti, per il leader del M5s si fa sempre più concreta la fiducia sul Ddl Aiuti, spegnendo quindi sul nascere le intenzioni bellicose pronte in casa 5stelle sul termovalorizzatore di Roma. La leadership di Conte appare sempre più in salita se si pensa che gli schiaffi gli arrivano dallo stesso suo partito. Come quello del deputato pentastellato, Vincenzo Spadafora: “Credo che lui (Conte, ndr) abbia un deficit politico che noi stiamo pagando in maniera molto forte, cioè la sua popolarità, che è indubbia, non riesce a colmare un deficit politico, un deficit politico è quella capacità di costruire il nuovo partito, il nuovo corso”, puntella l’ex ministro del Conte2. Un affondo di “peso” che va ad aggiungersi al colpo basso sferrato dall’eurodeputato 5stelle, Dino Gianrusso: “Conte è stato un eccellente premier e in Europa ha fatto un capolavoro. Io sono smarrito però perché da lui capo politico tutto mi aspettavo tranne un peggioramento”. Poi c’è l’eterna rivalità tra Beppe Grillo e l’ex “avvocato del popolo”, il quale non riesce a scrollarsi l’icona ingombrante del fondatore del movimento, pur avendo deliberato la “paghetta” da 300mila euro per il comico genovese. E così Conte tenta un’altra mossa: marchiare il simbolo del M5s con il suo nome in modo tale da mettere in archivio l’era grillina. Altro schiaffo, questa volta arriva dalla mano dello stesso comico. “Non ne sapevo nulla. Io sono il Garante. Decido io che cosa mettere e cosa non mettere nel simbolo M5s”.

Questo sarebbe stato il senso delle parole di Grillo nel corso di un’infuocata telefonata tra il comico e l’ex premier. Certo, inutile negare che l’operazione contiana è ambiziosa, per usare un eufemismo, perché oggi appare impensabile che con un tratto di penna si possa cancellare “Grillo” per scrivere “Conte”. Insomma, finora il presidente del M5s pare che non è azzecchi una. Per non parlare della amministrative del 12 giugno dove per i Cinquestelle si profila una batosta elettorale. Basti pensare che su 26 capoluoghi di provincia che andranno al voto, la presenza di una lista 5stelle è prevista più o meno in 13 comuni e a volte con combinazioni “civiche”. La questione è tutta politica, perché tra i vari problemi, c’è anche quello della creazione della lista a causa della difficoltà di reperire candidati disposti a competere con la casacca pentastellata. Eloquente Gianrusso: “Noi li cerchiamo, ma nessuno si vuole candidarsi con noi”. Ennesimo schiaffo.

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