Il prologo era bellicoso, un tweet in cui rivendicava per la Lega il Viminale. Del resto l’incontro tra Giorgia Meloni e Antonio Tajani aveva innervosito Matteo Salvini, così come i retroscena che insistevano sulla volontà della presidente di FdI di tenere ai margini del governo il segretario leghista. Ma dopo il faccia a faccia con Meloni, si manifesta un Salvini con toni decisamente più concilianti: “Siamo già al lavoro, ma non su nomi, poltrone e ministeri”, bensì sulle “emergenze vere” del Paese, ovvero – elenca in una videodichiarazione registrata e inviata ai giornalisti – “caro bollette, problema sicurezza, la qualità della vita, degli stipendi e del lavoro”. Il tutto condito con il “grande senso di responsabilità” che comporta l’aver ricevuto la fiducia degli elettori, mentre l’Italia affronta una “situazione complessa”. E quindi “al lavoro uniti, questo ci chiede la gente, senza polemiche, ma con le idee chiare in testa”.
Un messaggio decisamente diverso da quello con cui si era concluso il Consiglio Federale: ieri i leghisti rivendicavano “un ministero di peso” per il loro segretario e reclamavano l’Autonomia come priorità, insieme a Quota 41. Salvini si mostra disinteressato al toto-ministeri e la riforma costituzionale cara ai governatori scompare dall’elenco delle priorità, come l’intervento sulle pensioni. Per spiegare il riposizionamento, dalla Lega citano il tweet con cui Giorgia Meloni ha smentito – a metà mattinata – le “ricostruzioni del tutto arbitrarie” e “inventate di sana pianta” della stampa. E ovviamente la decisione del faccia a faccia, che “compensa” in qualche modo l’incontro di ieri tra la presidente di FdI e il forzista Tajani. Fatto sta che ora dal Carroccio sottolineano la necessità di “trovare una squadra di governo davvero condivisa” e dell’importanza di muoversi diversamente rispetto a come si stava nei precedenti governi: “Ora siamo in un esecutivo di coalizione, abbiamo un sentire comune e un programma comune”.
Ma la coperta in questo momento appare corta. E l’afflato unitario scopre il fronte interno. Una buona notizia arriva dal Viminale, con la rielezione di Umberto Bossi dopo la correzione di un errore nei conteggi: “Quante parole al vento…”, è il commento di Salvini, probabilmente riferito alla valanga di commenti social che lo criticavano per l’esclusione del fondatore dal Parlamento. Ma dal Nord continua il pressing per l’Autonomia, e dal Veneto la richiesta è di chiedere il ministero per gli Affari regionali, in coerenza con “l’ideale del movimento”, spiega il consigliere regionale Boron. Tema però scomparso dall’elenco di priorità fatto da Salvini dopo l’incontro con Meloni.
C’è invece il “problema sicurezza”, in coerenza con l’ambizione di Salvini di avere ancora il Viminale perché “ci vuole qualcuno che torni a difendere e proteggere confini, leggi, forze dell’ordine e sicurezza in Italia. C’è il caro bollette, anche se non più declinato insieme allo scostamento di bilancio su cui Salvini e Meloni si sono scontrati più volte in campagna elettorale. E compare il tema degli stipendi e del lavoro. Non c’è la riforma costituzionale: “L’Autonomia si farà – assicurano dall’entourage del segretario – ma non è questo il momento in cui ognuno può mettersi a forzare sulle proprie bandiere”. Oggi intanto Salvini riunirà la pattuglia dei quasi 100 parlamentari leghisti, e tra gli esclusi e la vecchia guardia si mugugna: “Sono tutti di Salvini, né Giorgetti nè Zaia hanno voluto o potuto tutelare i loro”.