Dopo avere firmato, chiaramente controvoglia, nuove sanzioni contro la Russia per la sua presunta interferenza nelle elezioni presidenziali del 2016, il presidente americano Donald Trump è tornato ad attaccare il Congresso: secondo lui, c’è da ringraziare i legislatori a Capitol Hill se i rapporti sull’asse Washington-Mosca “non hanno mai raggiunto livelli così bassi” come ora e sono “molto pericolosi”. Il miliardario di New York che tanto ama la retorica si è forse dimenticato delle tensioni vissute durante la Guerra Fredda. E’ vero però che all’inizio della sua presidenza, il leader americano contava di tessere una buona relazione con Vladimir Putin. E anche il presidente russo gli aveva dato fiducia, sposando un approccio attendista quando, sul finire del suo secondo e ultimo mandato, Barack Obama nel dicembre scorso impose nuove sanzioni contro il Cremlino per il suo ruolo (tutto da dimostrare) nelle elezioni che hanno incoronato Trump. Invece che reagire con ritorsioni, Putin aveva preferito attendere l’insediamento del miliardario di New York alla Casa Bianca e vedere poi cosa sarebbe successo. Sette mesi dopo il leader russo ha reagito: a seguito del via libera del Congresso, la settimana scorsa, a nuove sanzioni, Putin ha ordinato a 755 diplomatici Usa di lasciare la Russia. La mossa “ci complica la vita”, ha commentato il segretario di Stato, Rex Tillerson, precisando però che tra le due super potenze “non c’è nulla di bellicoso”. Chissà che la fitta rete di contatti russi sviluppata quando era Ceo del colosso petrolifero Exxon gli venga utile.
Se per Trump è del Congresso la colpa del deterioramento delle relazioni con la Russia, già compromesse nell’era Obama per via dell’annessione della penisola di Crimea e per l’appoggio garantito al presidente siriano, per John McCain è della Russia stessa. Il senatore dell’Arizona ha replicato al Commander in chief scrivendo a sua volta su Twitter: “Puoi ringraziare Putin per avere attaccato la nostra democrazia, per avere invaso i vicini e per minacciare i nostri alleati”. Intanto il premier russo Dmitri Medvedev ha dichiarato la “fine della speranza in un miglioramento delle nostre relazioni”, su cui lo stesso Trump nel suo commento successivo alla firma delle sanzioni sembrava ancora sperare: “Speriamo ci sia cooperazione tra i nostri due Paesi su questioni di carattere globale in modo tale che queste sanzioni non saranno più necessarie”. Il problema per lui, tuttavia, sta nel fatto che il Congresso ha messo a punto le nuove sanzioni in modo tale da impedire al presidente di rimuoverle senza prima avere consultato i legislatori. Proprio per questo Trump aveva già accusato Capitol Hill di impedirgli di negoziare con Paesi stranieri a suo piacimento.
Medvedev ha anche colpito l’ego del miliardario di New York scrivendo su Facebook che “l’amministrazione Trump ha dimostrato totale impotenza, cedendo funzioni esecutive al Congresso nel modo più umiliante possibile”. Secondo il premier russo, l’establishment americano intende “togliergli il potere”. Di certo, non vuole che Trump faccia di testa sua allentando sanzioni contro la Russia. E lui è stato praticamente costretto a sottoscriverle per non sembrare troppo morbido con Mosca alla luce della “nuvola” del Russiagate che continua ad aleggiare su di lui. Sarà anche una “caccia alle streghe” inventata dai democratici per giustificare la sconfitta di Clinton, come dice sempre Trump, ma l’inchiesta sulla presunta interferenza della Russia nelle elezioni e soprattutto sulla potenziale collusione tra la campagna Trump e funzionari russi non è mai stata così importante. C’è da sperare che il procuratore speciale che se ne sta occupando, Robert Mueller, faccia il suo lavoro senza cedere al pressing di nessuno. E senza essere licenziato da Trump come successo all’ex direttore dell’Fbi James Comey, che a sua volta stava indagando e che si prepara a fornire aneddoti inediti nel suo libro in uscita in primavera. Per garantire protezione a Mueller, è stato introdotto al Senato Usa un disegno di legge ad hoc.