La Cassazione scrive la parola fine sul caso di Sarah Scazzi (foto, home), a sette anni dall’omicidio della quindicenne di Avetrana, in Puglia. Sono state la cugina Sabrina Misseri (foto, sx) e la madre Cosima Serrano (foto, cx) ad ucciderla. A sancirlo sono i giudici della suprema Corte che le hanno condannate all’ergastolo, confermando le condanne di primo e secondo grado. Otto anni di reclusione è la pena inflitta, invece, allo zio contadino Michele Misseri (foto), ritenuto colpevole di soppressione di cadavere; pena ridotta a 4 anni e 11 mesi per Carmine Misseri, accusato di aver aiutato il fratello Michele. Il dispositivo letto in un’aula conferma, infine, le pene per Vito Russo junior e Giuseppe Nigro, entrambi condannato a un anno e quattro mesi per favoreggiamento personale.
LA TRAGEDIA DI AVETRANA Sarah era una ragazza “acqua e sapone”, senza nemici e senza macchia ma con una famiglia da horror, tra accuse reciproche, gelosie e complicita’ inconfessabili, con lo zio Michele stereotipo del “buon contadino”, una cugina meno bella, e forse invidiosa e una zia silenziosa e dominatrice. E’ questo lo sfondo della tragedia familiare che ha portato alla morte il 26 agosto di sette anni fa di Sarah, figlia della sorella di Cosima Serrano, la zia, sposata con Michele Misseri e madre della sue cugine Sabrina e Valentina. Quella che la piccola Sarah considerava una seconda famiglia, con la quale trascorreva gran parte del tempo, invece si è rivelata la sua tomba. La cugina Sabrina vedeva in lei una pericolosa rivale per possibili fidanzamenti, era gelosa e con l’atroce complicita’ di mamma Cosima, quel pomeriggio di fine estate l’avrebbe uccisa strangolandola, mentre a tenerla ci avrebbe pensato la madre. Michele missere, invece, avrebbe caricato il corpo della ragazza per gettarlo in una cisterna. Fu proprio Misseri senior a rivelare cosa avvenne quel pomeriggio. Dopo oltre un mese di ricerche e gli appelli della mamma della ragazza, lo zio Michele ad affermare di essere stato lui, invece, ad uccidere l’adolescente e a nasconderne il cadavere in un pozzo, salvo poco dopo cambiare versione dei fatti . L’uomo chiamò in causa la figlia Sabrina, anche se, nel corso del processo, e’ piu’ volte tornato ad autoaccusarsi. Una versione che non ha mai convinto gli inquirenti, che hanno sempre considerato il suo gesto un tentativo di proteggere moglie e figlia da una pesante condanna. Una condanna al carcere a vita, quella che la Corte d’assise di Taranto prima e la Corte d’assise d’appello poi hanno inflitto alle due donne, che si sono sempre proclamate innocenti. Per nascondere, hanno sostenuto i giudici di primo e secondo grado, una verita’ agghiacciante: lo stretto rapporto tra Sarah e Sabrina, cugine inseparabili, si era fatto via via piu’ conflittuale.