L’era di Howard Schultz in Starbucks sta per finire. Dopo l’imprenditoria, nel futuro dell’uomo che ha creato la catena di caffetterie più grande al mondo potrebbe esserci la politica. Dal prossimo 26 giugno, Schultz lascerà gli incarichi di presidente esecutivo e membro del consiglio di amministrazione. A lui verrà riconosciuta una presidenza onoraria. La sua uscita dall’azienda segue di poco più di un anno la sua decisione di cedere a Kevin Johnson la carica di amministratore delegato.
Mentre gli osservatori politici si domandano se sarà lui a salvare il partito democratico ancora senza un candidato per le presidenziali 2020, gli investitori hanno reagito male alla notizia fornita dall’azienda ieri dopo la chiusura di Wall Street. Evidentemente sono preoccupati di una Starbucks senza più il suo architetto, che dall’aprile 2017 era concentrato sulle iniziative sociali del gruppo e sullo sviluppo nel mondo di Reserve, il marchio di caffè e caffetterie di alta gamma. D’altra parte sotto la sua guida Starbucks è passata da 11 negozi a oltre 28.000 in 77 Paesi. E il titolo Starbucks ha guadagnato il 21.000% sin dall’Ipo dell’azienda nel 1992. Nonostante il suo imminente addio, Schultz gestirà comunque quella che per Starbucks rappresenta una sfida: “il tanto atteso” ingresso nel mercato italiano, che ha ispirato Schultz nei suoi viaggi di lavoro nel nostro Paese.
Dopo essersi occupato della partnership con Princi, la panetteria italiana di alta gamma di cui è stato aperto il primo negozio a Seattle nel novembre 2017, Schultz supervisionerà l’apertura di una Starbucks Reserve Roastery a Milano il 6 settembre prossimo. Si occuparà poi dell’inaugurazione della New York Roastery a fine ottobre. Quel che succederà successivamente all’imprenditore, resta tutto da scoprire. Per ora l’azienda ha detto che Schultz “è impaziente di trascorrere più tempo con la sua famiglia questa estate” e che “sta scrivendo un libro sull’impatto del lavoro sociale del gruppo e sugli sforzi per ridefinire il ruolo e le responsabilità di un’azienda quotata in una società in costante cambiamento”. Quanto a una discesa in campo, è lui stesso ad avere confermato per la prima volta che si tratta di una opzione.
“Da tempo ormai sono molto preoccupato per il mio Paese, per le crescenti divisioni al suo interno e per il nostro posizionamento nel mondo”, ha detto in una intervista al New York Times. Schultz ha aggiunto: “Voglio capire se c’è un ruolo che posso giocare” ma “non sono ancora esattamente sicuro di cosa ciò significhi”. Al giornalista che gli ha chiesto se si candiderà alle presidenziali Usa, lui ha detto: “Penserò a una serie di opzioni per me stesso, dalla filantropia al servizio pubblico, ma manca molto prima di sapere che cosa il futuro mi riserva”. Una sua corsa verso la Casa Bianca è diventata più realistica sin dalla vittoria shock del repubblicano Donald Trump alle presidenziali del 2016. Anche Robert Iger, Ceo di Disney, aveva valutato una simile corsa salvo poi mettere da parte le sue ambizioni politiche quando, nel dicembre 2017, siglò un maxi accordo per comprare asset da 21st Century Fox (operazione che potrebbe essere ostacolata da Comcast).
Anche Jamie Dimon, Ceo di JP Morgan, è visto come un potenziale candidato se non fosse che lui si aspetta di restare al comando della banca per altri cinque anni anni. Il Ceo e membro del cda di Starbucks ha spiegato in un comunicato che Schultz “ha insegnato a tutti noi che è possibile essere un’azienda quotata molto diversa. Questo deve continuare, e continuerà, sotto la mia supervisione”. Anche lo stesso Schultz ha cercato di rassicurare gli investitori dicendo che il Ceo Johnson “è un vero leader e guiderà Starbucks mentre quest’azienda fantastica inizia il suo prossimo viaggio”. A sua detta, la leadership del gruppo “è capace”.