E’ sempre guerra nel Pd: correnti in tensione su voto subito e leadership Renzi
TORMENTI DEMOCRATICI L’ex premier: “Sono stato capace di fare l’Obama italiano, saprò essere Andreotti”
I dubbi sulla corsa al voto erano emersi già un mese fa, durante la crisi di governo, ma ora nel Pd – si parla del Pd che sta con Matteo Renzi – comincia ad emergere un tema che sarebbe stato impensabile anche solo qualche settimana fa: la leadership del partito e il futuro candidato premier in un contesto che sarà, molto probabilmente, proporzionale. Se ne parla nei conciliaboli in Transatlantico, ma anche nelle riunioni di corrente, come accaduto ieri durante l’assemblea dei giovani turchi di Andrea Orlando e Matteo Orfini e qualche giorno fa durante l’incontro di Sinistra è cambiamento, l’area di Maurizio Martina e Cesare Damiano. Un tema, del resto, chiaro allo stesso Renzi, che ieri ai segretari regionali avrebbe assicurato: “Sono stato capace di fare l’Obama italiano, saprò essere Andreotti”.
LA LEADERSHIP Qualche giorno fa, raccontano parlamentari Pd, era stato Damiano, tra gli altri, a porre la questione durante l’incontro di Sinistra è cambiamento (al quale Martina non ha partecipato): primo, sarebbe il senso delle parole pronunciate dal presidente della commissione Lavoro di Montecitorio, non è pensabile che ci siano strappi o accelerazioni per andare a votare. Sarebbe un azzardo e porterebbe il paese a votare con una legge elettorale raffazzonata, frutto dei ‘tagli’ della Corte costituzionale anziché il risultato di una revisione organica in Parlamento. Secondo, avrebbe aggiunto Damiano riprendendo il ragionamento di molti altri, è arrivato il momento di chiedersi se sia ancora Renzi il leader giusto per la nuova fase che si va aprendo. Raccontano che l’ex ministro non veda affatto all’orizzonte il “nuovo Prodi” evocato da Pier Luigi Bersani, ma intanto il dibattito è aperto. Qualcosa di simile, spiegano sempre parlamentari Pd, sarebbe accaduto ieri alla riunione dei turchi, aperta da Francesco Verducci e conclusa da Orfini dopo che parecchi interventi avrebbero sollevato dubbi sul voto anticipato, preoccupazione per la situazione del partito e posto l’esigenza di una verifica della leadership.
IL PROGETTO Temi ripresi anche da Orlando, spiegano, anche se con toni più diplomatici. Il ministro della Giustizia, raccontano, avrebbe ribadito lealtà a Renzi, sollevando però parecchie perplessità: la corsa al voto, senza prima approvare una legge elettorale “rapidamente” in Parlamento, sarebbe giudicata un azzardo dal Guardasigilli, che avrebbe anche espresso perplessità su molti passaggi dell’intervista di Renzi, soprattutto quelli sullo stato di salute del partito e sulla possibilità di intestarsi i 13 milioni di sì al referendum. Per Orlando, spiegano, c’è da capire soprattutto qual è il progetto di rilancio e l’asse politico con il quale andare a elezioni, e per condizionare Renzi i ‘turchi’ dovrebbero mantenere una propria autonomia. Per il ministro sarebbe un errore la linea del ‘non c’è alternativa a Renzi’, anche perché la questione della leadership e del profilo del partito andrà valutata alla luce del nuovo sistema a impianto, prevedibilmente, proporzionale. “Il concetto – spiega uno dei turchi andando oltre le parole di Orlando – è che è tutto da dimostrare che Renzi sia il leader adatto per la nuova fase”.
LINEA QUIRINALE Perplessità che Orfini, nella replica finale, avrebbe provato a fugare, dicendosi convinto che Renzi sia perfettamente in grado di assolvere la sua funzione di leadership in un contesto proporzionale. Anzi, per il presidente Pd, il segretario starebbe già muovendosi in questo nuovo schema. Per quanto riguarda il voto, poi, Orfini avrebbe ribadito la convinzione che la data più probabile resti giugno, dopo l’approvazione di una nuova legge elettorale. Dario Franceschini, poi, continua a tenere contatti con le altre correnti e, soprattutto, a guardare al Colle. Raccontano che il ministro dei Beni culturali voglia attenersi rigidamente alla linea tracciata da Sergio Mattarella: nessuna preclusione ad un voto anticipato, magari a giugno, ma in maniera ordinata e dopo aver approvato in Parlamento una nuova legge elettorale. Una fibrillazione che Renzi avrebbe già colto da tempo, a giudicare dalla frase su Andreotti e Obama che gli è stata attribuita. Soprattutto, proprio mercoledì un renziano di ferro svolgeva un ragionamento nuovo, appunto da ‘Renzi versione Andreotti’: “Vediamo cosa decide la Consulta, noi vogliamo il maggioritario. Ma che venga confermato il ballottaggio o, cosa più probabile, che si vada a un meccanismo col premio se si supera il 40%, adesso Matteo lavorerà alla costruzione di una coalizione”. Con la quale provare a prendere il 40% e, soprattutto, rilegittimare il ruolo da candidato premier.