Il governo Gentiloni incassa la fiducia dell’aula di Montecitorio. I sì al nuovo esecutivo, espressi dopo le dichiarazioni programmatiche del premier Paolo Gentiloni, sono stati 368, i no 105. Domani in programma il voto di fiducia nell’aula di Palazzo Madama: alle 9,30 inizierà la discussione generale, che proseguirà fino alle 13. Seguirà la replica del presidente del Consiglio, quindi le dichiarazioni voto e, alle 15, la prima “chiama” dei senatori. Ed è proprio il Senato, l’incubo prìncipe di Gentiloni, dove c’è una maggioranza risicata a 166 voti, con la consapevolezza che a Palazzo Madama ogni provvedimento sarà a rischio e che dunque sarà importante ridurre al minimo i pericoli.
Sono i conti che vengono fatti dal Pd sulla solidità del governo Gentiloni, che domani si presenterà a Palazzo Madama per chiedere la fiducia. Il “pallottoliere” vede tra i senatori a sostegno del nuovo esecutivo 112 Pd, 29 di Ap, 19 del gruppo Per le Autonomie (che però comprende anche i 4 senatori a vita), 7 conteggiati dal Misto e 3 da Gal. In totale dunque 170 voti, con una maggioranza assoluta di 161. Nell’ultima fiducia al governo Renzi al Senato ci furono 173 voti favorevoli, compresi due senatori a vita e 14 di Ala, che ha annunciato di non voler votare a favore dell’esecutivo, promettendo anzi, con il capogruppo Lucio Barani, in un’intervista a lanotiziagiornale.it, che l’Aula diventerà “una palude”.
Ieri il capogruppo Pd Luigi Zanda ha assicurato che il governo avrà “certamente e senza incertezze” la fiducia del Senato. Cosa che con ogni probabilità domani avverrà. Ma il problema, con un margine così risicato, ci sarà nell’attività quotidiana, quando complici eventuali assenze non sarà facile garantire la maggioranza. Il Pd conta dunque sulla possibilità di raccogliere qualche “soccorritore” lungo la strada e sulla scarsa propensione ad andare a votare di qualche senatore. Comunque sia, l’idea è quella di non fornire troppe occasioni per far andar sotto l’esecutivo. “L’attività sarà abbastanza contenuta – spiega un senatore Dem -. Non credo che ci siano le condizioni per lavorare su una nuova legge elettorale, si farà un’armonizzazione dopo la sentenza della Consulta. E poi ci sarà da varare qualche decreto attuativo”. Del resto l’obiettivo di Renzi e del Pd è di andare avanti per pochi mesi, andando a votare a giugno . “Ci hanno detto di lavorare con un orizzonte di sei mesi – rivela un ministro -. Poi vediamo, magari stiamo un po’ di più…”. Proprio questo è il timore dei renziani: riuscire a staccare la spina al governo tra pochi mesi, a marzo, per andare a votare a giugno. “Non sarà facilissimo, ci saranno resistenze, ma l’idea è quella…”, conclude l’esponente Pd.