Si elegge il nuovo leader Pd, unità partito prima sfida
Tenere insieme il partito priorità per chiunque vinca
E’ il giorno dei gazebo per il Pd. Dopo mesi di “fase costituente” e congressi di circolo domani con le primarie si eleggerà il nuovo segretario e il partito proverà a risalire dopo le sconfitte delle politiche e delle regionali. Enrico Letta passa il testimone e il suo successore sarà scelto tra Stefano Bonaccini e Elly Schlein in oltre 5.000 seggi in tutta Italia, aperti a chiunque, dai 16 anni in su. Da un lato il presidente dell’Emilia Romagna che ha mosso i primi passi in politica con il Pci e che poi è cresciuto nel Pds e poi nei Ds, dal’altra una delle protagoniste di “OccupyPd” che lasciò il partito in polemica con Matteo Renzi.
Due figure diverse, non solo anagraficamente, che a causa delle complesse dinamiche del Pd si ritrovano in ruoli un po’ innaturali per i rispettivi curricula. Bonaccini – l’uomo del “partito” per definizione – ormai da tempo considerato dalla sinistra dem come l’erede di Renzi, o perlomeno della stagione renziana, un nuovo “rottamatore” che guarda troppo al centro. La Schlein – la deputata “millennial” movimentista, che aveva 6 anni quando il Pci diventò Pds – diventata la paladina di chi vuole ricostruire un partito più strutturato, riallacciando i rapporti innanzitutto con i tradizionali mondi di riferimento della sinistra, dal sindacato ai movimenti pacifisti.
La prima sfida da vincere sarà quella della partecipazione, perché i votanti alle primarie sono costantemente in calo dal record di 3,5 milioni raggiunto quando venne eletto segretario Walter Veltroni nel 2007. L’ultima volta, nel 2019 per Nicola Zingaretti, ai gazebo andarono 1,6 milioni di persone ed è forte il timore che si possa andare addirittura sotto il milione. Un dato incoraggiante c’è: per Zingaretti nei circoli votarono 93mila iscritti, durante la prima fase del congresso, poco più della metà dei tesserati dell’epoca. Stavolta gli iscritti che sono andati a votare sono stati 150 mila, con un’affluenza che secondo i dati dei circoli si è confermata attorno al 50%-60% degli aventi diritto.
Anche se i dati ufficiali del tesseramento non sono ancora stati diffusi, questo significa che le tessere quest’anno saranno almeno 250mila, quindi più di 4 anni fa, nonostante tutto. Ma anche l’affluenza è vissuta in maniera diversa dai due fronti. Bonaccini è uscito vincitore tra gli iscritti col 52,8%, la Schlein si è fermata al 34,8%. Per il presidente dell’Emilia Romagna è importante superare il milione di votanti, perché non sarebbe un buon viatico iniziare con un flop di partecipazione, ma è la sua avversaria che ha maggiormente bisogno delle file ai gazebo: tutti i sondaggi dicono che le preferenze per la Schlein crescono con l’aumentare della partecipazione. La speranza di una rimonta, insomma, poggia soprattutto sull’affluenza.
Entrambi, però, sanno che in caso di vittoria il primo impegno – faticoso – sarà quello di provare a pacificare il partito, evitando il rischio di nuove rotture e scissioni. Non è un caso che Bonaccini da settimane ripeta: “Se vinco chiederò a Elly, Paola (De Micheli, ndr) e Gianni (Cuperlo, ndr) di dare una mano”. Il presidente dell’Emilia Romagna promette di coinvolgere gli altri candidati alla segreteria, compresi quelli della prima fase, nella gestione del partito. Più sfumata su questo la Schlein, forse perché molti dei suoi potenziali elettori non apprezzerebbero l’idea di un coinvolgimento di Bonaccini. Ma anche i parlamentari più vicini a lei ammettono: “Se vinciamo ci faremo carico di tenere unito il partito”.
Perché questo è il principale rischio del Pd: continuare come separati in casa anche dopo il congresso, con una discussione ancora dominata dalla contrapposizione “renzismo-antirensimo” che rischia di fare solo il gioco di M5s e centristi, che da mesi hanno fiutato la possibilità di spartirsi l’eredità del Pd, come in Francia hanno fatto Macron e Melenchon. Un assalto che finora è fallito, alle politiche come alle regionali, ma che di certo non è concluso. La partita finale si giocherà alle europee del 2024 e sia Schlein che Bonaccini assicurano che da quell’appuntamento il Pd uscirà almeno primo partito del centrosinistra. Chiunque vinca domani, sarà questa la prima vera sfida da affrontare.