Il tradimento del presidente americano, Donald Trump, nei confronti dei curdi – fino a ieri alleati fondamentali sul terreno contro l’Isis, oggi abbandonati alla merce’ dell’offensiva militare di Ankara – ha fatto risuonare un nuovo campanello d’allarme in Israele. A preoccupare i vertici politici e militari dello Stato ebraico non e’ solo la sorte dei valorosi combattenti, con i quali dagli anni ’60 Tel Aviv intrattiene discreti legami militari e d’intelligence, nel nome della condivisione degli stessi nemici nella regione. Il voltafaccia di Trump nei confronti delle milizie curde Ypg ha reso sempre piu’ palese agli occhi degli israeliani l’inaffidabilita’ dello stesso inquilino della Casa Bianca: se fino a qualche mese fa, Washington era l’alleato di ferro sul quale il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, contava ciecamente, sbandierandone (anche fisicamente) l’amicizia in campagna elettorale con enormi cartelloni – tra i ‘doni’ ricevuti, il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele e la sovranita’ israeliana sulle Alture del Golan, contese dal 1967 con la Siria – l’annunciato desiderio di Trump di ritirarsi dal Medio Oriente (“Non ci saremmo mai dovuti andare, e’ stata la peggiore decisione di sempre”, ha twittato) e le recenti, contrastanti, aperture nei confronti dell’Iran, hanno fatto venire meno le certezze.
Gia’ aveva allarmato la mancata risposta Usa dopo l’attacco contro il sistema petrolifero saudita per il quale era stato accusato l’Iran; il timore e’ che l’isolazionismo di Trump incoraggi Teheran ad agire contro Israele, come gia’ fatto il mese scorso contro l’Arabia Saudita. In questo senso, il ritiro delle truppe americane da’ ulteriore spazio all’Iran per radicare ancora di piu’ le sue forze in Siria, nell’ottica della realizzazione di una ‘continuita’ territoriale’ sciita sotto il controllo di Teheran che si estenda fino al Libano, passando per Siria e Iraq. Un incubo per Israele, al quale pero’ l’Iran lavora alacremente, come ha ribadito pochi giorni fa il comandante della Forze al-Quds, Qassem Soleimani. Si spiega cosi’ l’enfasi posta da Netanyahu sull’autodifesa, in occasione della tradizionale cerimonia di commemorazione della guerra dello Yom Kippur del 1973. “Apprezziamo molto l’importante sostegno degli Stati Uniti, che e’ aumentato notevolmente negli ultimi anni (ma) ricordiamo e applichiamo sempre la regola di base che ci guida: Israele si difendera’ da solo contro ogni minaccia”, ha ricordato il premier.
Poco dopo questo discorso, la voce di Netanyahu si e’ unita al coro di critiche contro Ankara per l’offensiva nel nord-est della Siria contro i curdi: “Israele condanna con forza l’invasione turca delle aree curde in Siria e mette in guardia contro la pulizia etnica dei curdi da parte dei Turchi e dei suoi alleati”, ha scritto ieri su Twitter il leader del Likud, dicendosi pronto a “estendere l’assistenza umanitaria al valoroso popolo curdo”. Una presa di posizione sollecitata anche da un folto gruppo di riservisti israeliani che, con una petizione on-line indirizzata a Netanyahu e al capo di Stato maggiore Aviv Kochavi, ha chiesto al governo di aiutare i curdi, fornendo loro non solo aiuti umanitari ma anche assistenza d’intelligence e militare. “Noi, come israeliani ed ebrei, non dobbiamo restare in disparte quando vediamo un’altra nazione abbandonata dai suoi alleati e lasciata indifesa”, si legge nel testo della petizione. “Israele e’ un Paese che ha i mezzi per aiutare il popolo curdo, e ora e’ il momento di farlo”; e nella consapevolezza che “ci sono ampie implicazioni strategiche” e senza essere “pienamente consapevoli del quadro generale, non possiamo fare a meno di pensarlo e saremmo felici di aiutare in qualsiasi azione”. (Agi)