Il presidente regionale catalano, Carles Puigdemont, ha deciso di non comparire in Senato per spiegare le sue ragioni di fronte alla minaccia di Madrid di applicare l’articolo 155 della Costituzione, che prevede il commissariamento della Generalitat: lo ha reso noto la presidente del Parlamento catalano, Carme Forcadell. La partecipazione di Puigdemont era stata data per certa fino a ieri mattina, ma al termine di una riunione con la dirigenza del suo partito, il conservatore Pdecat, Puigdemont ha deciso che la sua presenza non aveva senso dal momento che il governo avrebbe già deciso comunque di ricorrere al 155 anche nel caso in cui il presidente della Generalitat convocasse elezioni anticipate. Questo è peraltro un punto in cui il Partido Popular (Pp) del premier Mariano Rajoy e i socialisti del Psoe non sarebbero d’accordo, con gli ultimi favorevoli a una revoca del commissariamento (molto più duro di quanto non avessero fatto trapelare in precedenza) in caso di voto anticipato; sta di fatto tuttavia che al Senato – unico organo costituzionale chiamato ad esprimersi in merito – il Pp ha comunque la maggioranza assoluta e il sostegno socialista è in sostanza utile politicamente ma superfluo nei numeri. Puigdemont potrebbe di fatto delegare qualcun a altro al suo posto per parlare in Senato, in un discorso che peraltro avrebbe il solo scopo di catturare l’attenzione dell’Europa più che di evitare la sanzione, che Barcellona considera appunto già decisa; ciò appare però improbabile dal momento che alle 16 di oggi è in programma il plenum del Parlamento catalano che dovrebbe pronunciarsi sulle misure di risposta al 155. Le ipotesi sul tappeto sono due: la prima, difesa dalla sinistra della Cup, è quella della revoca della sospensione dell’indipendenza, ed eventualmente la convocazione di elezioni costituenti; si tratta di un guanto di sfida che implicherebbe il ricorso una resistenza pacifica di massa per poter essere efficace, anche se solo a livello simbolico dal momento che Bruxelles ha finora messo in chiaro di non voler riconoscere un’indipendenza dichiarata unilateralmente.
La seconda è quella rimanere nell’ambito costituzionale – quindi revocando l’indipendenza – e convocare nuove elezioni regionali, nella speranza di migliorare il 48% del passato scrutinio: resta però da vedere se l’elettorato indipendentista accetterà di veder mettere da parte un referendum più volte annunciato come vincolante e in cui lo scorso primo ottobre hanno votato oltre due milioni di persone sui cinque aventi diritto (senza contare le urne sequestrate dalla polizia). La via delle urne è caldeggiata sia dal settore economico – allarmato dal numero di aziende che hanno deciso di cambiare ragione sociale – che da una parte dell’indipendentismo, che teme gli effetti sull’autonomia regionale di uno scontro frontale con lo Stato: non si vede però quale possa essere lo sbocco finale di questa strategia, anche dando per scontato un guadagno elettorale. Anche con un maggiore appoggio sociale infatti le strade possibili rimangono comunque solo due: un nuovo referendum organizzato senza un accordo con il governo di Madrid, con tutte le obiezioni e gli ostacoli già visti; oppure, una possibile, riforma costituzionale per la quale Barcellona si trova però al momento senza alcuna interlocuzione credibile. a destra infatti – Pp e Ciudadanos – mai accetterebbe di discutere una clausola che permetta in futuro una consultazione sulla secessione, e cercherebbe di porre dei limiti a qualsiasi rafforzamento dell’autonomia; la sinistra del Psoe invece non è pronta a discutere un’autonomia fiscale – sulla base di quella basca – che rischi di penalizzare i sussidi percepiti dalle regioni in cui governa e derivati dal fondo di compensazione di cui la Catalogna è il principale contribuente. Il rischio quindi – dando per scontato il successo alle urne e quindi l’acquiescenza dell’elettorato a questa strategia, tutt’altro che certo – è quello di rimandare lo scontro a un futuro più o meno prossimo, esattamente nelle stesse condizioni; molti indipendentisti preferirebbero quindi una dichiarazione di indipendenza che provocasse la reazione dello Stato, in modo da trasformare una crisi interna in una crisi di cui l’Europa dovrebbe farsi carico: una speranza, quella del coinvolgimento europeo, che finora è rimasta disattesa e senza la quale la via verso l’indipendenza si presenta quasi impossibile.