Politica

Speranza si candida alla segreteria del Pd: “Liberiamo il partito”. E Bersani dà il via libera. Ora tocca a Renzi

Roberto Speranza si candida ufficialmente alla segreteria Pd, i bersaniani schierano il loro nome e cercano sponde anche tra i potenziali rivali, almeno per cercare di frenare la corsa di Matteo Renzi verso una nuova investitura da leader del partito e, poi, verso nuove elezioni. “Oggi è successo un fatto politico rilevante”, dice soddisfatto Pier Luigi Bersani uscendo dal centro congressi Frentani, il luogo simbolo scelto per lanciare la ‘reconquista’ del partito, anzi per “liberare” il partito come dice Speranza. In queste sale, ora della Cgil, negli anni ’70 c’era la sede della federazione romana del Pci. Qui il ‘correntone’ Ds disse no al progetto del Partito democratico. Da qui, secondo Bersani, si parte per “creare un’alternativa nel Pd che renda possibile un nuovo campo largo di centrosinistra”. Speranza non è il solo che proverà a competere con Renzi, in campo c’è già anche Enrico Rossi, il presidente della regione Toscana, e molti danno per probabile anche la candidatura di Michele Emiliano, presidente della Puglia. Non a caso, entrambi presenti all’appuntamento di questa mattina. I bersaniani sanno che la competizione sarà dura e che bisognerà battere non solo l’attuale segretario Pd, ma anche gli altri potenziali concorrenti.

GIRO D’ITALIA Con loro è stato avviato un dialogo, a partire dalla candidatura di Speranza ora ufficiale, e si vedrà se saranno possibili convergenze. Emiliano gioca d’anticipo, dice di voler accompagnare Speranza nel “giro d’Italia” annunciato dall’ex capogruppo, auspicando che si unisca anche Rossi e aggiungendo: “Poi vedremo”. “Vedremo” significa che si ragionerà in seguito se andare al congresso divisi, con più candidati, o magari con una “candidatura unitaria”, come poi sempre Emiliano precisa ai giornalisti. “Non è il momento di fare nomi”, aggiunge. Rossi è più freddo, spiega che è meglio evitare una “confederazione anti-Renzi”, il fronte unitario non lo convince. Si vedrà più avanti se si arriverà ad un candidato unico, se si aggiungerà qualcuno alla corsa, magari big come Enrico Letta per ora alla finestra. Le formule possono essere diverse, anche perché, come ripete Speranza, “il doppio incarico ha fallito”, e nello schema del futuro ci dovrà essere distinzione tra segretario del partito e presidente del Consiglio. Tutti, però, hanno un obiettivo comune, nell’immediato: evitare che Renzi domani acceleri sul congresso anticipato, bruciando i tempi e andando dritto verso una nuova legittimazione a furor di popolo, sulla scia della mobilitazione messa in campo per il referendum dello scorso 4 dicembre. Su questo tutti dicono parole chiare: “Serve una discussione vera – avverte Speranza – non una kermesse o un votificio. È arroganza rivendicare il 40%” ottenuto al referendum.

L’ASSEMBLEA Rossi concorda in pieno: “Abbiamo bisogno di un congresso vero, non di gazebo per scegliere il più bello del reame. I tempi ci sono, Renzi si dimetta e convochi il congresso”. E Emiliano aggiunge: “Domani aprirà un’assemblea e non sappiamo ancora cosa farà. Una cosa senza precedenti, l’assemblea del partito dopo una sconfitta come quella del referendum dovrebbe essere stata preparata. Di fronte non abbiamo un avversario normale”. Tutti, insomma, chiedono a Renzi di non fare strappi, di andare al congresso nei tempi previsti dallo statuto, senza accelerazioni e senza forzature. Non si sa ancora cosa farà Renzi domattina, da escludere che Renzi accetterà il percorso invocato oggi da Speranza, Emiliano e Rossi. Il leader deve scegliere se andare al braccio di ferro, chiedendo il congresso anticipato restando segretario (cosa per la quale ha bisogno di un voto dell’assemblea nella quale sia presente almeno il numero legale) o se evitare l’accelerazione sulle assise ma mettere già in agenda elezioni politiche al più presto possibile e primarie per scegliere il candidato premier, appuntamento che potrebbe sostituire il congresso vero e proprio come momento di ri-legittimazione del leader prima del voto.

BERSANI Entrambe opzioni che rischiano di stroncare sul nascere ogni serio tentativo di scalare il partito: con il congresso a marzo, Renzi potrebbe vincere facilmente capitalizzando, almeno in parte, i voti del referendum; con primarie per il candidato premier e poi elezioni si andrebbe al congresso “a giochi fatti”, con un leader a quel punto già di nuovo in sella e difficile da sfidare. Speranza e Bersani, invece, lavorano davvero per provare a riprendersi il partito. Per Bersani “una fase si è chiusa”, il renzismo va archiviato: “Se noi stiamo sul blairismo rimasticato o su un populismo a bassa intensità sperando di essere concorrenziali, andiamo a sbattere contro un muro. Ci vuole una novità forte”. Altro che “giovanilismo modaiolo” o “rottamazione”, bisogna tornare a fare la sinistra, ripristinare l’articolo 18 “o almeno l’articolo 17 virgola”, riallacciare un dialogo con il resto del centrosinistra. Speranza, poi, dà il segnale a quei militanti che negli ultimi anni hanno scelto di restare a bordo campo, o addirittura in tribuna: “Io dico a quelli che hanno dubbi: aiutateci a rifondarlo questo partito, tornate a iscrivervi, riprendetevi il Pd, liberate il Pd”. Nessuna scissione, precisa, “noi diciamo ‘dentro-dentro’, non ‘fuori-fuori'”. Ma, ed è qui il segnale forte, non a tutti i costi: “Io penso che si può cambiare il Pd, ci proveremo con tutte le energie, non ci rassegneremo mai al partito della nazione. Se questo dovesse avvenire, allora non sarà una nostra scelta: semplicemente il Pd non esisterà più”. Renzi, insomma, non si illuda di poter ripetere l’esperienza degli anni scorsi quando i dissensi sono stati “zittiti” o “dileggiati”, come dice Bersani.

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