di Filippo Caleri
Mentre la contrapposizione tra sindacati e governo sulla modifica della legge Fornero attraverso un aumento della flessibilità in uscita non si placa, l’Istat porta tutti con i piedi per terra comunicando il carico di risorse che il sistema previdenziale italiano assorbe ogni anno. Quello appena trascorso ha registrato un esborso pari a 261,470 miliardi di euro, con un aumento di 4,126 miliardi (+1,6%). I dati emergono dalle tavole che l’Istat sulla spesa complessiva. Un incremento quello dell’anno passato legato agli arretrati, circa 2,2 miliardi, che l’Inps ha dovuto erogare, riconteggiandoli dal 2012, alle famiglie dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco delle indicizzazioni. Non solo. In questa cifra non sono incluse le prestazioni assistenziali, che anche se in alcune tipologie sono considerate al pari di trattamenti pensionistici rientrano nel generale capitolo dell’assistenza. Le tabelle pubblicate dall’istituto di statistica indicano anche quanto sono costate per le pensioni di guerra (604 milioni nel 2015), le prestazioni agli invalidi civili (15,949 miliardi) quelle ai non udenti (188 milioni), ai non vedenti (1,139 miliardi), nonché le pensioni e gli assegni sociali (4,752 miliardi).
Il resto delle uscite previdenziali si è diviso tra i 208,890 miliardi del capitolo vecchiaia (inclusa l’anzianità), i 5,742 miliardi della voce relativa all’invalidità su lavoro e i 1,632 miliardi dei prepensionamenti. Ma tra le cifre che balzano all’occhio anche quelle relative agli assegni di reversibilità e cioè quelle che spettano ai superstiti che perdono il coniuge. Nel 2015 questa voce di spesa ha superato i 43 miliardi dai 42,674 dell’anno precedente. Il rialzo è stato quindi pari a 332 milioni di euro (+0,8%). Ma è proprio su questo punto che le polemiche si sono riaccese. Il tema della riduzione della reversibilità entra ed esce periodicamente dall’agenda del governo con smentite che si alternano a richiami a intervenire sul dossier come la citazione sul punto nel recente Documento di Economia e Finanza presentato dal governo. Un dossier che rischia di diventare esplosivo anche per la ragionevole possibilità che la reversibilità sia estesa anche alle unioni civili sia eterosessuali che omosessuali. La miccia è stata accesa da presidente della Commissione Lavoro, Maurizio Sacconi, che nella rubrica sul blog dell’Associazione amici di Marco Biagi ha scritto: “L’Istat rileva che la spesa per pensioni indirette e di reversibilità ha superato il tetto dei 43 miliardi. È una ragguardevole dimensione di spesa cui presto si aggiungerà quella per i componenti delle unioni omosessuali. L’ulteriore incremento di spesa a regime sarà ben superiore a quello volutamente sottostimato dal governo. A ciò si aggiungerà probabilmente, sulla base di ricorsi di costituzionalità, quella ulteriore applicazione dell’istituto agli stabili conviventi eterosessuali di cui alla seconda parte del ddl Cirinnà. Sarebbe infatti un paradosso quello per cui un’unione civile in limine mortis darebbe al coniuge sopravvissuto la pensione di reversibilità mentre invece la morte di un componente di una lunga convivenza con figli non garantirebbe la stessa prestazione. Non ci si stupisca quindi se ogni tanto fa capolino l’idea di tagliare le pensioni di reversibilità per far tornare i conti”.