“Fuori, fuori”, spettro scissione nel Pd. Renzi contro minoranza: “2017 svolta non governicchi”

LEOPOLDA Il premier: sono gli stessi che “18 anni fa decretarono la fine dell’Ulivo e ora stanno provando a decretare la fine del Pd”

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L’ultima pagina dell’edizione numero 7 della Leopolda inizia con un black out elettrico, quando Matteo Renzi sta per salire sul palco (lui scherza, “è un castigo divino per quanto detto qui in questi giorni”) e finisce con il premier che invoca un “2017 di svolta per l’Italia” e un G7 a Taormina a cui arrivare non certo con un “governicchio tecnichicchio”. Poi attacca a testa bassa quelli della minoranza dem che vogliono “usare” il referendum per una “rivincita” dopo aver perso il congresso, la “vecchia classe dirigente che vuole tornare” e “bloccare tutto”. Sono gli stessi, rilancia, che “18 anni fa decretarono la fine dell’Ulivo e ora stanno provando a decretare la fine del Pd perché è hanno perso un congresso. Vogliono la rivincita. Non ve lo consentiremo perché non è vostro il futuro di questo Paese”. La platea si surriscalda e intona “fuori, fuori”.

E così dopo i fischi, sabato, a Massimo D’Alema, ieri il boato alla cacciata della minoranza Pd esplode dalla platea della Leopolda quando Renzi chiama alle armi in un affondo contro “i teorici della ditta quando ci sono loro e dell’anarchia quando ci sono gli altri”. Il segretario del Pd non frena i pasdaran, “non urlate ma votate e fate votare” dirà più tardi, ma ormai lo spettro della scissione torna ad aleggiare. Ma la sinistra dem, ancora più isolata dopo il sì di Gianni Cuperlo al documento sull’Italicum, non ha alcuna intenzione di farsi cacciare: Pier Luigi Bersani ribadisce ai suoi che devono andarlo a “prendere con l’esercito” per lasciare il Pd a rischio rottura, secondo i bersaniani, proprio per la mancata volontà unitaria del leader. Ancora Renzi, che dal palco continua a colpire la sinistra dem. Sono quelli, incalza, che cavalcano il “no” al referendum costituzionale perché sanno “che è l’ultima occasione per tornare in pista, di tornare al potere”. Nomina Massimo D’Alema critico con la riforma che, dice, andava fatta meglio: “E perché- chiede il segretario dem – non l’ha fatta lui?”.

Non nomina direttamente l’ex segretario Bersani ma è durissimo: “Bernie Sanders sta lavorando per la Clinton e non per Trump e questo ai teorici della ditta quando ci sono loro e dell’anarchia quando ci sono gli altri andrebbe spiegato”. Cita anche Silvio Berlusconi, ma con tono più lieve. “Berlusconi ha detto che con la riforma si rischia un uomo solo al comando… Poi ci chiedono perché ci sta così simpatico, oh ma è meraviglioso…” denuncia il premier dal palco. Ma ora “in questi 28 giorni” che mancano al 4 dicembre dobbiamo “provarci” a superare “non solo il bicameralismo paritario” ma anche “l’atteggiamento rinunciatario”, girare “come trottole” e credere nella vittoria, altro che sondaggi. L’Italia “è una, non è divisa”, “non ci sono due Italie” ma due idee di diverse, “chi non vuole cambiare nulla e chi ci vuole provare”. Ma certo, “chi si incappuccia, prende un cartello stradale e lo batte in testa ai poliziotti non sta difendendo la Costituzione”. “Viviamo il tempo dell’odio. Lo abbiamo visto ieri in piazza San Marco” ma noi, osserva, “stiamo dalla parte di quelle forze dell’ordine che non meritavano di essere insultate”. Infine l’appuntamento all’anno prossimo: l’ottava edizione della Leopolda si terrà “dal 20 al 22 ottobre” 2017.