Repubblicani e democratici hanno concluso le rispettive convention e la maggior parte degli americani e dei massi media guarda già alle elezioni presidenziali statunitensi dell’8 novembre. Non tutti sanno, però, che è in corso un’altra convention, che potrebbe avere ripercussioni anche sui due principali partiti: quella dei Verdi (Green Party of the United States, GPUS), che per la seconda volta consecutiva candideranno alla Casa Bianca la dottoressa Jill Stein, 66 anni. A Houston, in Texas, i Verdi stanno presentando la loro sfida a Hillary Clinton e Donald Trump. Inaugurata giovedì 4 agosto, la convention andrà avanti fino a domenica; sabato 6 è atteso il discorso di accettazione della nomination da parte di Stein, che al momento detiene un record: quello di donna più votata alle elezioni presidenziali statunitensi. Nel 2012, Stein fu votata da 469.501 persone, lo 0,36% dei votanti, superando la soglia dell’1% nel Maine, in Oregon e in Alaska. Quest’anno, il suo vice sarà Ajamu Baraka, attivista afroamericano per i diritti umani, direttore dello US Human Rights Network, che in passato ha lavorato per Amnesty International e altre organizzazioni del settore; nel 2012, Stein aveva formato un ticket femminile con Cheri Honkala, altra attivista per i diritti umani. Quest’anno i partiti minori hanno una grande occasione negli Stati Uniti, vista l’impopolarità dei due maggiori candidati e l’esclusione di un radicale come Bernie Sanders, che ha però ottenuto alle primarie democratiche un successo inimmaginabile e 12 milioni di voti: non tutti, certamente, finiranno a Clinton, vista la distanza tra i due candidati, nonostante l’appello all’unità pronunciato dal senatore socialista alla convention di Philadelphia.
Molti dei voti andati a Sanders potrebbero finire proprio a Stein, che avrà anche un inaspettato palcoscenico nazionale il prossimo 17 agosto, quando la Cnn ospiterà un dibattito con il pubblico in cui la candidata verde sarà la protagonista. Secondo Bloomberg, questo è l’anno “migliore e peggiore” per essere Jill Stein, perché la candidata offre ai sostenitori di Sanders un voto di protesta, ma sulle sue spalle ora grava una responsabilità senza precedenti per un candidato dei Verdi. Nata a Chicago da genitori ebrei di origini russe (lei si dichiara agnostica), vive in Massachusetts con il marito, il collega Richard Rohrer, con cui ha avuto due figli. Laureata alla Harvard University, ha lavorato nell’ambito della medicina interna per 25 anni, fino al 2005. Oltre alla politica, ha sviluppato la passione per la musica, che l’ha portata a incidere quattro album con Ken Selcer, con molte canzoni incentrate sui temi a lei più cari: pace, giustizia e ambiente. Il suo slogan, quest’anno, è #ItsInOurHands: il futuro “è nelle nostre mani”, perché “è il momento di rifiutare il male minore”, riferendosi alla consuetudine di continuare a votare per i democratici pur di non far vincere i repubblicani. “Siamo contenti di essere il ‘piano B’ per i riformisti scoraggiati”, sconfitti all’interno del partito democratico, ha detto Stein. Secondo un sondaggio della Cnn del primo agosto, il 13% dei sostenitori di Sanders voterà per la candidata ambientalista.
Riferendosi al New Deal del presidente Franklin D. Roosevelt, la candidata dei Verdi propone un Green New Deal, ponendo al centro i problemi ambientali e le energie rinnovabili – capaci per lei di creare milioni di posti di lavoro – la necessità di ridurre di almeno il 50% le spese militari, di eliminare i debiti universitari e di sostituire l’attuale Obamacare con un sistema sanitario pubblico per tutti (Medicare-for-All). L’obiettivo realistico di Stein è raggiungere il 5% del voto popolare, mai nemmeno lontanamente sfiorato dai Verdi: le elezioni migliori furono quelle del 2000, quando Ralph Nader conquistò quasi 2,9 milioni di voti e il 2,74% del totale; tra quei voti, ce ne furono 97.000 ottenuti in Florida, dove il repubblicano George W. Bush fu dichiarato vincitore per poche migliaia di voti e quel successo gli consentì di conquistare la Casa Bianca; inutile aggiungere che i democratici temano che la storia si ripeta. Ne sono consapevoli molti elettori di Sanders, come John Fetterman, sindaco di Braddock, in Pennsylvania, che ha “implorato” i sostenitori del senatore alla convention democratica: appoggiate Clinton “o aiuterete Trump”, racconta Bloomberg. Stein accusa i democratici di giocare sempre la carta della paura per convincere gli elettori a non votare per i Verdi. “Trump è un demagogo riprovevole con politiche disprezzabili; dall’altra parte – ha detto Stein – la storia di Clinton” racconta della “devastazione” di cui è stata responsabile, per esempio con il suo sostegno, da first lady, alla riforma del Welfare e il suo voto in Senato a favore della guerra in Iraq.
Secondo la media di Real Clear Politics dei sondaggi recenti che comprendono i quattro maggiori candidati, ovvero Clinton, Trump, il libertario Gary Johnson e Stein, la candidata dei Verdi avrebbe il 3,9 per cento, con un picco del 6% raggiunto nell’ultima rilevazione di McClatchy/Marist, effettuata tra il primo e il 3 agosto; il miglior risultato in un sondaggio lo ha però ottenuto a giugno, con il 7% registrato da Cnn/Orc. Il risultato di Stein sarà fondamentale per il futuro del partito: raggiungendo il 5% del voto popolare, i Verdi otterrebbero milioni di dollari in fondi federali per la prossima campagna elettorale, con cui potrebbero finalmente arrivare a presentare la propria candidatura in tutti gli Stati del Paese: quattro anni fa, i Verdi erano presenti in 36 Stati su 50, più il District of Columbia. Al 30 giugno, la campagna presidenziale di Stein ha ottenuto 859.000 dollari ed è riuscita, al 10 luglio, a presentarsi in 24 Stati e nel District of Columbia, raggiungendo oltre il 60% della popolazione, secondo i dati consultabili sul sito dei Verdi, e presto dovrebbe aggiungerne molti altri, fino a coprire il 90% della popolazione. Per essere presenti sulle schede elettorali, infatti, i candidati devono rispettare una serie di regole e parametri che variano da Stato a Stato. La maggiore popolarità, però, porta anche polemiche. Per esempio, hanno fatto discutere le sue dichiarazioni in un’intervista rilasciata il 29 luglio al Washington Post, in cui affermava che la gente ha sollevato “questioni reali” sulla sicurezza dei vaccini e insinuava che la Food and Drug Administration, ovvero l’agenzia che si occupa della regolamentazione dei farmaci, e i Centers for Disease Control and Prevention, organismo di controllo sulla sanità pubblica, siano stati influenzati dalle lobby farmaceutiche.