Uno stop da Bruxelles all’Italia che apre un buco di 728 milioni nel bilancio dello Stato. La Commissione Ue ha infatti bocciato la richiesta dell’Italia di una deroga alla legislazione europea che permettesse di applicare la cosiddetta “reverse charge” riguardo al pagamento dell’Iva per le forniture nei confronti della grande distribuzione (supermercati e ipermercati). La misura era stata introdotta dalla legge di stabilità 2015 ma era in attesa, appunto, della necessaria autorizzazione Ue, che è stata negata. E sempre nella legge di stabilità 2015 si prevede una clausola di salvaguardia che faceva scattare, in caso di mancata autorizzazione di Bruxelles, aumenti delle accise sui carburanti da luglio di quest’anno.
Questa ipotesi è stata però subito smentita da fonti del ministero dell’Economia, che hanno confermato l’impegno del governo a non far scattare le clausole di salvaguardia, e quindi ad evitare il rialzo delle accise. Nel merito della bocciatura Ue, secondo la valutazione della Commissione europea “non c’è prova sufficiente del fatto che le misure richieste contribuirebbero a combattere la frode (in particolare l’evasione fiscale. La Commissione è anche dell’opinione che questa misura comporterebbe alti rischi di trasferimento delle possibili frodi verso il settore della vendita al dettaglio e versi altri Stati membri”, ha affermato la portavoce Vanessa Mock. La reverse charge o inversione contabile prevede l’applicazione dell’Iva da parte del destinatario del bene o del servizio invece che da parte del cedente o prestatore. Per applicare la reverse charge è necessario che entrambi le parti siano soggetti passivi Iva di imposta e che il destinatario del bene risieda nel territorio dello Stato.