Da un anno la guerra civile sta martoriando il Sudan del Sud, la più giovane e sventurata nazione del pianeta. Queste chiesa, una volta santuario di preghiera per gli abitanti di Bor, città sulla riva orientale del Nilo a 200 km da Juba, capitale dello stato autonomo del Sudan del Sud, qualche mese fa si è trasformata in una tomba per una quarantina di persone. Il massacro ha visto un solo sopravvissuto, una vecchia donna cieca che ancora rivive il terrore di quelle urla e di quelle raffiche.”Mi hanno preso e trascinato nell’edificio dove stava ammazzando tutti. Sentivo le raffiche dei mitra. È Dio che mi ha salvato”. Il circolo infernale delle violenze etniche è cominciato il 15 dicembre del 2013 con una serie di massacri in Juba che hanno innescato rappresaglie infinite in tutto il paese tra le comunità dinka e nuer. Il presidente Salva Kiir e il suo rivale, l’ex vice presidente Riek Machar, hanno raggiunto una serie di accordi e di cessate il fuoco, puntualmente andati in frantumi nel giro di pochi giorni. E molti dubitano che il conflitto possa terminare in tempi brevi.