Massimo Ciancimino si inventò le minacce di Rosario Piraino dell’Aisi e la finalità con cui lo fece è da individuarsi nella ‘necessità’ di “mantenere il proprio status di dichiarante e di creare intorno a sé una situazione di tensione e minaccia da ‘spendere’ utilmente nei confronti delle forze dell’ordine e degli inquirenti”. Lo si legge nella sentenza con cui il giudice del tribunale di Bologna Aldo Resta ha condannato a 3 anni e 6 mesi per calunnia il figlio dell’ex sindaco di Palermo, super-testimone del processo sulla presunta trattativa Stato-Mafia. I fatti risalgono al 2009 e al 2010, quando viveva nella città emiliana. Raccontò che Piraino si presentò da lui, invitandolo a ritrattare dichiarazioni collaborative ai pm di Palermo e Caltanissetta; poi lo accusò di essere il mittente di una busta anonima trovata nella cassetta condominiale, con testo minatorio e cinque cartucce. I difensori di Piraino, Alessandro Armaroli e Marcello Montalbano, commentano “con soddisfazione” la sentenza. Dalle dichiarazioni di Ciancimino agli investigatori bolognesi, la squadra mobile e il procuratore aggiunto Valter Giovannini, nacque inizialmente un fascicolo per minacce, poi finito con un’archiviazione all’esito delle indagini svolte. Come sottolinea ora il giudice del processo per calunnia aggravata “elementi probatori, documentali e testimoniali contrastano e contraddicono i fatti denunciati da Ciancimino e ne disvelano la falsità”.
Fu accertato tra l’altro che Piraino era a Palermo il 3 luglio 2009, il giorno in cui secondo Ciancimino si sarebbe presentato a casa sua a Bologna, inoltre le telecamere piazzate vicino all’abitazione attestarono che nessuno con le caratteristiche fisiche dell’uomo dei Servizi entrò; e anche nel giorno della busta con le cartucce, aprile 2010, nessuna utenza in uso a Piraino agganciò le celle bolognesi. In aggiunta, Ciancimino riferì di una persona alta 1.70-1.75, quando Piraino è 1.90. “Dunque – ricapitola il giudice – i fatti narrati da Ciancimino e attribuiti a Piraino non sono stati commessi, e non possono essere stati commessi, da Piraino, semplicemente perché era altrove, se non anche, ed ancor prima, i fatti narrati da Ciancimino non sono stati commessi da alcuno, semplicemente perché sono fatti inesistenti, inventati o autoprodotti dall’imputato”. L’ex agente dei Servizi, sentito in udienza, raccontò di aver dovuto concludere la sua carriera nell’Agenzia informazioni e sicurezza interna, proprio a causa di queste accuse. In sede civile ha ottenuto dal tribunale di Palermo un risarcimento di 50mila euro. La vicenda partì a maggio 2009, quando dalla Procura di Palermo fu inviata alla Dda di Bologna una comunicazione in cui si faceva riferimento alle dichiarazioni che da alcuni mesi Ciancimino aveva iniziato a fornire, sui rapporti tra il padre Vito, Bernardo Provenzano e altri esponenti di spicco di Cosa Nostra. Dichiarazioni che, scriveva l’allora capo della Procura Francesco Messineo, avevano trovato significativi riscontri negli elementi fino a quel momento acquisiti. Si segnalava quindi un’intimidazione subita a Bologna, che, facendo seguito ad altri episodi siciliani, sembrava confermare l’esposizione al pericolo di Ciancimino.