Da allora ha venduto qualcosa come 700 mila costumi, per un giro d’affari da molti milioni di dollari ed esportazioni in paesi che vanno dal Bahrein alla Gran Bretagna, dal Sudafrica alla Svizzera. Il burkini è visto come “una seconda pelle” dalle donne islamiche in Australia, come Siham Karra-Hassan che, grazie a questo indumento, ha avuto l’opportunità di tornare in piscina dopo che le era stato impedito di entrare in acqua indossando indumenti di cotone. “Quando è uscito il burkini, le cose sono cambiate rapidamente”, dice questa donna che ha sei figli, una dei quali a 25 anni usa il burkini e fa l’istruttrice di nuoto. “Ora – continua – sono estremamente attiva…più posso allenarmi, più posso entrare nell’acqua, più l’apprezzo. Sono felice”. In un primo momento il burkini era guardato con un certo sospetto. Poi però anche altre persone si sono avvicinate a questo indumento, persino donne non musulmane che lo usano per evitare di scottarsi al caldo sole australiano. Zanetti ha il brevetto per il nome burkini e burqini e rivendica la primogenitura del primoburkini. Ma è dispiaciuta per la connotazione negativa che è stata data in Francia alla sua creazione, dovuta ovviamente alla tensione politica connessa agli attentati terroristici. “Hanno preso la parola burkini per simbolizzare un termine islamico in un modo cattivo. In realtà è solo una parola, una parola che ho creato per indicare un prodotto che io faccio…Noi non nascondiamo alcuna bomba sotto il burkini e non creiamo terroristi”, si lamenta Zanetti.