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L’ultimo bacio della madre Turiddu lo riceve al volo. Il finale di Cavalleria Rusticana di Mascagni viene cambiato causa Covid. Ma funziona, scenicamente, riesce ad avere un suo perché: l’ultimo sguardo della madre al figlio, e quel bacio quasi gettato, quasi se ne presagisse l’inutilità nella consapevolezza di non vederlo tornare. Funziona, drammaticamente e drammaturgicamente, e in una Cavalleria in forma da concerto. Funziona perché sul palco ci sono interpreti generosi e consapevoli del ruolo della musica, delle parole e dei personaggi, più di quanto a volte non riescono ad essere tanti registi innovativi. Sul palco del Teatro di Verdura, a Palermo, in una serata agostana si consuma ancora una volta l’eterno dramma di Santuzza, Turiddu, Commare Lola e Compare Alfio, protagonisti della novella di sangue scritta da Verga e sublimata nella musica celestiale e sanguigna composta da Mascagni. Aleksandra Kurzak, Roberto Alagna, Sofia Koberdze e Ernesto Petti danno le loro voci al quartetto disegnandone in modo personale le caratteristiche. Cavalleria, dramma della gelosia, di sangue, di amore tradito? Sì, forse, ma molto di più. Quello che si intravede in questa messa in scena – perché comunque tale è in barba al distanziamento e alle misure anti covid – è qualcosa di molto più intimo e intrinseco rispetto ai soliti luoghi comuni.
Il Turiddu e Santuzza disegnati da Alagna e Kurzak escono infatti fuori dai soliti schemi per trovare una strada più profonda nella lettura vocale e interpretativa dei personaggi. Una strada che nasce da una attenta analisi non solo delle frasi musicali ma dal testo. Ecco quindi che il Turiddu di Alagna punta più su una innocente giovanile spensieratezza e generosità vocale, piuttosto che sulla spavalderia arrogante spesso fine a se stessa. Alagna tratteggia un giovane diviso tra l’amore passionale per Lola e quello affettuoso e sincero per Santuzza. Il dubbio che lo porta a scegliere poi in modo sbagliato è percepibile nell’interpretazione e voce del tenore franco-siciliano, come la Santuzza di Aleksandra Kurzak perde l’astio, la rabbia, della donna tradita, per restituirle quella dolcezza e liricità proprie di una femminilità più intima e sofferta. Il Duetto tra i due assume le connotazioni di un dramma familiare – complice sicuramente il fatto che la coppia sia unita non solo sulla scena ma anche in vita – in un botta e risposta che trattiene il fiato… sino a quel A te la Mala Pasqua che sembra rintronare nelle orecchie di Turiddu che quasi a scacciare l’anatema lanciato si segna con la croce. Altro gesto questo che funziona scenicamente, ma funziona soprattutto perché riprende proprio uno dei temi verghiamo: la superstizione popolare, di cui tutte le sue novelle sono intrise.
Pur non seguendo le direttive di un regista Alagna e Kurzak sfoderano un talento attoriale fuori del comune regalando momenti intensi come in Voi lo sapete o mamma, oppure nel citato Duetto, Santuzza schiavo non sono… oppure ancora nel finale Mamma, quel vino è generoso… vado fuori all’aperto. Al loro fianco le brave due mezzo Sofia Koberidze nel ruolo di Lola e Romina Boscolo una Mamma Lucia potente e intensa. Il giovane Baritono Ernesto Petti vestiva i panni, e la frusta, di Compare Alfio, la sua voce potente bruna, quasi tendente alla tessitura da basso, pur con gli acuti al loro posto, ha avuto buon gioco nell’aria Il cavallo scalpiti … o nel duetto con Santuzza, ma questa voce, dalle grandi potenzialità sembra tuttavia ancora un po’ da raffinare e gestire al meglio. Alla guida di questo prestigioso cast e dell’orchestra del Teatro Massimo Carlo Goldstein al quale forse sono da imputare alcune slabbrature tra solisti orchestra e coro, come anche i tempi quasi soporiferi – specialmente nei due cori iniziali dell’opera delle donne e uomini che più che canti che invitano all’amore sembravano ninne nanne – alternati a guizzi che restavano tali nell’insieme della concertazione dell’opera.
Molto lontano l’afflato e l’amalgama sonoro che Orchestra e Coro – sempre diretto da Ciro Visco – hanno dimostrato sotto la bacchetta di Omer Mei Wellber. Ecco quindi che l’Ouverture con la Siciliana e il celebre Intermezzo, ma anche Inneggiamo al Signor… sono andati un po’ via così con la promessa di qualcosa di suggestivo, non mantenuta. C’è da dire comunque che questo potrebbe anche dipendere – non la scelta dei tempi lenti – dalla gestione dell’amplificazione e della acustica – inesistente essendo un teatro all’aperto e sulla strada – del Teatro di Verdura. Sicuramente da ripensare più a favore di interpreti e suoni, che risultano spesso falsati – con Un amplificazione a settori - dai microfoni panoramici e da quelli disposti in aria e di proscenio. Che gli ingegneri del suono di cui dispone, o dovrebbe disporre, la Fondazione si mettano all’opera perché sarebbe un peccato non sfruttare al meglio un luogo come quello realizzato all’interno del giardino di Villa Castelnuovo.