Teatro Massimo, cala il sipario sul ciclo wagneriano palermitano

Il Ring

di Laura Donato

Graham VickIl 28 gennaio segna la fine del Ciclo wagneriano palermitano. Il Ring, commissionato a Graham Vick (foto), giovedì pomeriggio, giunge al suo ultimo atto. I tre giorni raccontati da Wagner nelle quattro opere della Tetralogia hanno preso quasi quattro anni nella produzione del “Massimo” con una accelerazione che ha visto le ultime due, il Siegfried e il Götterdämmerung, a chiusura della stagione 2015 e ad apertura della 2016. Nata nel 2013 con la messa in scena delle prime due parti della Tetralogia – Das Rheingold (L’Oro del Reno) e Die Walküre (La Valchiria) ha rappresentato, nella visione del regista anglosassone, la fine e l’inizio di tutto: la fine del mondo degli dei, degli eroi in contrasto con l’inizio di una civiltà degradata, rozza, persa in una quotidianità che ne accelera la fine e la decomposizione. Il Götterdämmerung è l’ultima parte del ciclo composto lungo ben 26 anni (dal 1848 al 1874) ma è in realtà la prima a essere stata concepita dal compositore tedesco. Wagner partì infatti dall’idea di comporre un dramma musicale dedicato alla morte di Sigfrido, poi rielaborato come Götterdämmerung e da qui, procedendo a ritroso,  è andato a ricostruirne la giovinezza  (infatti il titolo originario di Siegfried era Der Junge Siegfried, cioè Il giovane Sigfrido) e poi ancora agli antenati e all’origine del mondo. Quasi sei ore di spettacolo, compresi gli intervalli, in cui Wagner conclude il suo Ring distruggendo ogni illusione e lasciandosi alle spalle – scrive Elisabetta Fava nel programma di sala –  “non solo il mondo ormai impotente e sconfitto degli dèi, ma anche quella natura primigenia, rigogliosa, libera, che costituiva lo scenario del Siegfried e l’habitat del giovane eroe. Caduti gli dèi, cadono ora anche gli eroi, capovolgendo il mito cristiano del Figlio che redime il mondo; qui le colpe dei padri celesti ricadono invece sui loro figli umani e li trascinano verso la catastrofe”.

Vick come detto continua nella sua visione distruttiva e creatrice che ha caratterizzato gli allestimenti precedenti, facendone uno spettacolo contemporaneo “con un finale di nichilismo – racconta il regista – ma non di un nichilismo negativo. La cosa importante è avere la speranza fino alla fine, però la fine è la fine. Anche la creazione e la distruzione sono due parti della stessa cosa”. Anche questa volta, come nel Siegfried, ci sarà la spazzatura in scena, a rappresentare la decadenza, la corruzione, la degenerazione. La fine di un ciclo. “Dopo il tradimento e la morte di Siegfried – scrive Marco Brighenti nel programma di sala – Brünnhilde comprende come la colpa risieda nella separazione originaria dal tutto e come solo la fine di un ciclo possa portare a una nuova alba: solo ora lei, che per amore aveva rinunciato alla divinità, compie la sua personale rinuncia all’amore ridonando l’anello alle figlie del Reno e ripristinando così l’equilibrio originario”. Sul podio, a dirigere l’Orchestra e il Coro del Massimo, nonché un cast composto per lo più dagli stessi interpreti ascoltati nelle precedenti produzioni, Stefan Anton Reck. La nuova messa in scena, che è stata preceduta da una settimana preparativa con una serie di eventi e manifestazioni legate all’intero Ring, verrà ripresa il 28 da cinque telecamere presenti anche sul palcoscenico, e trasmessa in diretta su Radiotre e in streaming sul sito del Teatro.