Teatro Massimo di Palermo, si riparte da Beethoven

Omer Meir Wellber Wilfried
7 luglio 2020

Può un sogno avverarsi? Diventare realtà? “I sogni son desideri” cantava Cenerentola. Ma desideri di cosa? Di una Vita? Di un Approdo? Di un inizio, o una fine? “Sono desideri di Felicità”. E la felicità? Cosa è? Per ognuno è diversa, astratta, concreta… E’ la realizzazione di un sogno. Appunto! E il sogno di una ripresa, di una rinascita, di “una nuova luce” ha alimentato questi mesi in cui i teatri – ciò di cui “è fatta la materia dei sogni”, perché è in essi che la magia della realizzazione magari “effimera” della bellezza, ma “bellezza” – erano chiusi. Un sogno che in queste settimane ha mantenuto vivida la creatività di chi con i “sogni” vive: artisti, cantanti, attori, musicisti, registi, scenografi; in attesa di poter di nuovo “fare la magia”. Sul palco del Teatro Massimo di Palermo la Magia dello spettacolo, del reinventarsi, del vedere le cose “Sotto una nuova Luce”, è nata tutta da un sogno, un sogno di Beethoven, e sotto l’egida della sua arte, moderno e classico si sono uniti ancora una volta, dando vita a qualcosa di straordinario e unico: unico per la modalità di esecuzione, unico per il momento che si sta vivendo, unico… perché doveva essere tale. Unico!

Il senso di estraneità e rinascita in un tutt’uno, che celebra l’uomo in tutto e per tutto: dalla vita alla morte. Estraneo, straniero, in continuo vagabondare nel mondo degli uomini, dei suoi simili – ma sono realmente tali? – e della sua anima, una straniera anch’essa, una sconosciuta a lui stesso e agli altri. E quando si può dire di conoscere veramente se stessi e di essere conosciuti dagli altri? Forse alla fine della propria esistenza, forse. “L’eterno straniero”, Der ewige Fremde, della compositrice israeliana Ella Milch-Sheriff, sul testo del drammaturgo Joshua Sobol, ricostruisce proprio questa estraneità dell’uomo/Beethoven all’interno della società, la solitudine dettata dalla sua sordità, la sensazione di essere un paria. Il progetto nato da un’idea del direttore musicale del Massimo Omer Meir Wellber per i 250 anni del compositore tedesco, si è rivelato perfetto per la riapertura del Teatro Massimo dopo la chiusura causa Covid 19, inaugurando il Festival “Sotto una nuova Luce” che rigetterà le basi di una programmazione, inevitabilmente troncata e da ripensare a causa delle restrizioni dovute all’epidemia.

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Dal sogno quindi di Beethoven, raccontato al suo editore Haslinger, riparte il sogno Teatro: anch’esso forse una sorta di estraneo in una visione generale e generalista. Infatti chi è uno Straniero, è colui, o qualcosa che non si conosce. Dice Ella Milch-Sheriff: “Lo straniero è chiunque si trovi in un ambiente ostile che lo respinge senza ragione alcuna se non perché lui o lei è diverso, sembra diverso, si muove in modo diverso. Ma lo straniero è un essere umano che ha gli stessi desideri di ogni altro essere umano”. La composizione di Ella Milch-Sheriff filtra perfettamente gli stati d’animo descritti dal testo di Sobol e vissuti in scena dall’attore Eli Danker – figura scarna, carismatica, vivido interprete del dramma che raffigura – centrando in nuclei sinfonici stati d’animo che si proiettano sulle proiezioni, ora oniriche, ora desolanti, ora fluttuanti – linee, cerchi, macchie che si incrociano, rincorrono – create da Roberto Andò insieme a Luca Scarzella e Gianni Carluccio, quasi come un sipario che si strappa e ricompone. In questo sinfonismo spezzato si riconoscono temi tradizionali orientali e occidentali in, appunto, un unicum che fa breccia nello stato d’animo di ognuno, cui la voce di Danker fa da contrappunto, o si insinua ritmicamente, quasi creando una melodia dove non c’è….

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A Roberto Andò l’onore – e onere – di ripensare anche la struttura, ossatura del teatro, in base alle disposizioni sul distanziamento: una lunga, continua linea che unisce palcoscenico, golfo mistico e sala, in una continuità ideale, quasi matematica, dove cambiando l’ordine degli addendi il prodotto non cambia. Ed ecco quindi il Coro “rubare” la scena ai solisti disposti ai lati e a ridosso del palco su pedane rialzate, mentre l’Orchestra si “appropria” dello spazio della sala. Un modo di ripensare anche l’acustica del teatro, la percezione del suono da parte del pubblico disposto nei cinque ordini di palchi. Idea di continuità che si rispecchia anche nella mancanza di intervallo tra la fine de “L’eterno straniero” e l’inizio della Messa di Beethoven in Do Maggiore, opera 68. Quasi a dire esiste una fine? E un Inizio? L’entrata del Coro nel Kyrie mentre si spegne l’ultima nota dello “Straniero”, in una perfetta commistione di suoni ed evoluzione armonica, getta una “luce” particolare ridefinendo l’atmosfera respirata sino ad un attimo prima. Suggestivo l’afflato e l’amalgama sonoro creato dalle voci – Laura Giordano, Marianna Pizzolato, Luis Gomes e Evan Hugues – l’Orchestra e il Coro del Massimo, in una fusione quasi magica e rarefatta.

La Messa di Beethoven non è una delle opere più eseguite del compositore tedesco, eppure meriterebbe più spazio nei programmi per la potenza evocativa. Omer Meir Wellber, da gennaio Direttore Musicale della Fondazione, ancora una volta dimostra il suo piglio e la sensibilità che lo contraddistinguono nel guidare l’Orchestra, sfruttandone la nuova disposizione, e ricavandone sonorità piene, pastose, espressive, quasi ogni nota uscisse dagli strumenti in modo più che mai consapevole, pensato. Prossimo appuntamento, sabato 11 ancora nel nome di Beetoven con la Nona Sinfonia. Sul podio sempre Omer Meir Wellber, solisti Desirè Rancatore, Chiara Amarù, Renè Barbera e Gianluca Buratto. Questa volta però il Festiva/Non Festival – come lo ha definito il Sovrintendente Francesco Giambrone – si sposta al Teatro di Verdura, naturale sede estiva del Massimo. La simbolica riapertura del 4 luglio del Teatro principale cittadino cede ad uno spazio più consono alle disposizioni Covid-19, ma non per questo non meno ripensato, come dimostreranno gli spettacoli a seguire.

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