Teatro Massimo Palermo, Nozze di Figaro tra Goldoni e Vesuvio

ph © rosellina garbo 2018
19 maggio 2018

La struttura leggera, ariosa, ideata da Ezio Antonelli per queste mozartiane Nozze di Figaro andate in scena il 18 al Massimo di Palermo e firmate da Chiara Muti, strizza l’occhio a certe commedie Goldoniane e della tradizione napoletana. Intrecci di scale, pontili, con ampie finestre e vetrate, in un quasi sottile gioco del vedo e non vedo, tra drappi, teli, tende e lenzuoli che aiutano a celare e svelare di volta in volta le trame sottili in cui sono avvolti i personaggi della celebre opera costruita magnificamente da Mozart e Da Ponte. Alle scene si uniscono i semplici ed eleganti costumi di Alessandro Lai a rendere questo gioco del dire e non dire, del velo e disvelo, ancora più intrigante nello scambio di cappelli, mantelli, abiti, gonne, bluse e pantaloni, rendendo perfettamente lo spirito un po’ ruffiano, un po’ serio dell’opera. Mozart e Da Ponte firmano infatti u capolavoro d’ambiguità dove tra i lazzi e gli sberleffi, le situazioni grottesche, i pruriti e i desideri, soddisfatti e insoddisfatti, si consumano non solo amori ma anche scelte e “lotte” sociali: Il Conte che tenta di ripristinare l’antica usanza dello Ius prime noctis, l’opporsi di Figaro, la status di Rosina che da fiera libera padrona di se stessa si ritrova ora a contemplare una esistenza di donna tradita e abbandonata da quell’uomo, marito, per ottenere il quale aveva usato tutta la sua astuzia.

Il cast si muove dando vita ad intrecci giocosi, comici e a volta grotteschi

Chiara Muti legge bene nella partitura mozartiana e nel testo di Da Ponte, pur forse puntando più sull’aspetto litigioso, vendicativo e di ripicca che muove le azioni dei protagonisti, piuttosto di metterne in evidenza la raffinata, sottile strategia, preferendo più i toni comici a quelli ironici e più seduttivi. In questo anche supportata dalla lettura estremamente tradizionale di Gabriele Ferro, alla guida dell’Orchestra del Teatro Massimo. Una lettura della partitura precisa e attenta, ma priva di quei guizzi dinamici che fanno di Nozze un unicum nella produzione mozartiana per brillantezza ed estro armonico. Sotto queste due guide interpretative il cast composto da Simone Alberghini nei panni del Conte d’Almaviva, di Mariangela Sicilia, in quelli della Contessa, Alessandro Luongo, come Figaro, Maria Mudryak, e l’impertinente e deliziosa Susanna, Laura Chierici, l’anziana Marcellina, Paola Gardina nel ruolo en travesti di Cherubino, si muove seguendo le direttive dando vita ad intrecci giocosi, comici e a volta grotteschi, con buon placito della più sottile ironica visione ricca di doppi sensi che Mozart e Da ponte avevano costruito. Alberghini, presta quindi la sua voce da basso più al prepotente, a volte soverchiatore, ricco nobiluomo che poco rispetto ha della moglie e dei fittavoli e servi, che non ad un seducente Conte, smanioso di mettere alla prova la sua capacità di conquista che crede sopita nel matrimonio con una donna che ancora ama, ma di cui ha perso l’interesse perché ormai già sua.

Maria Mudryak brilla come presenza scenica e vocale

Vengono a mancare così alla sua interpretazione quelle dinamiche espressive vocali che rendono la complessità del personaggio. Al suo fianco l’estrema sottomessa Rosina di Mariangela Sicilia, la cui voce lirica, delicata, ben rende nelle soffuse pagine di “Porgi, Amor…” e in “Dove sono i bei momenti”, ma meno dove la Contessa dovrebbe ritornare ad esser la Rosina di un tempo. Di contro la coppia Figaro/Susanna trovano bene in Alessandro Luongo e Maria Mudryak i loro interpreti. Il primo da vita ad un Figaro energico, di spirito, che sa supplire a certi vuoti dinamico espressivi vocali con una discreta sapienza scenica come nelle celebri arie “Se vuol ballare, signor contino” o “Non più andrai farfallone amoroso”. Spigliata, chiara ed espressiva la seconda – assolutamente la più rimarchevole dell’intero cast – nel disegnare una Susanna per nulla confusa dalle avances del Conte, anzi scocciata, e ben felice di rendergli pan per focaccia. Il duetto con il Conte del secondo atto diventa così una vera e propria scaramuccia, più che uno stoico tentativo di resistere alle fin troppo chiare intenzioni del nobiluomo. Maria Mudryak brilla costantemente come presenza scenica e vocale.

Bene il Coro del Massimo e i siparietti al fortepiano cesellati da Giacomo Gati

Meno spigliato, nonostante una recitazione un po’ farsesca e sopra le righe – sicuramente dovuta alle scelte registiche – il Cherubino di Paola Gardina che nel disegnare il fanciullo in pieno cambio ormonale e preso dal fuoco della passione per le donne – nessuna esclusa, un po’ come una sorta di Don Giovanni in erba, come seppe ben vedere Kierkegard nell’analizzare i due personaggi mozartiani – non è stata ben supportata da una certa instabilità nella voce e nella emissione che non le ha permesso di rendere al meglio nelle due famose arie “Non so più cosa son, cosa faccio” e “Voi che sapete, che cosa è amor”. A completare il cast i tre Don – Basilio, Bartolo e Curzio – di Bruno Lazzaretti, Emanuele Cordaro, e Giorgio Trucco, la Barbarina di Daniele Cappiello e Matteo Peirone come Antonio. Bene il Coro del Massimo e i siparietti al fortepiano cesellati da Giacomo Gati. Uno spettacolo queste Nozze – che tornano al Massimo dopo ben 18 anni per stare in scena ancora questo pomeriggio, 20 maggio, poi ancora il 22, il 24 e il 26  – da godere in tutte i suoi aspetti. Un’occasione per approfondire un’opera il cui intreccio è un prezioso ricamo steso con mano leggera, ma ferma, da due geniali autori, dove musica e testo si fondono dando vita ad un capolavoro senza tempo.

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