Ammalia la serata Mascagni voluta dal Teatro Massimo per questo suo primo appuntamento di giugno – Elisir d’amore chiuderà, a partire dal 16, il mese. Ammalia soprattutto per questa Rapsodia Satanica recuperata, restaurata e presentata per la prima volta a Palermo in accoppiata con la più nota opera di Mascagni, Cavalleria Rusticana. Mascagni come soundtracker di film muti è assolutamente sconosciuto e nuovo per i più.
Una scommessa già vinta in partenza per il teatro Massimo che ha così portato alla conoscenza del pubblico una gemma cinematografica firmata Nino Oxilia, artista che spaziava dalla poesia al teatro al cinema e tragicamente morto sul fronte della Prima Guerra Mondiale, recante la data del 1915, e proiettata per la prima volta nel 1917 a Bologna. Un “Faust” in gonnella con l’anziana nobildonna Alba d’Oltrevita che vende la sua anima al diavolo pur di tornare giovane. Per farlo però deve rinunciare all’amore e l’impossibilità a farlo alla fine la perderà. Nessuna salvazione – contrariamente a Faust – per la povera Alba, dopo avere attraversato l’Inferno della vita le tocca l’Inferno nella morte. La pellicola è avvolta nello spirito Decadente che caratterizzava l’epoca. Non c’è salvezza alcuna, se non nell’Amore, ma abbandonandosi all’Amore ci si perde.
L’opera di restauro della pellicola e la ricostruzione della partitura della colonna sonora
L’opera di restauro della pellicola e la ricostruzione della partitura della colonna sonora creata da Mascagni – una partitura che accompagna intrinsecamente ogni immagine del film scandendone le azioni ed evidenziando i caratteri dei personaggi, quasi la partitura di un’opera – ha impegnato quasi certosinamente la Cineteca di Bologna e Marcello Panni, curatore della ricostruzione della colonna sonora, riportando così alla luce la brillantezza delle immagini, girate prima in bianco e nero e poi colorate a mano – si possono intravedere i colori rosso, rosa degli abiti di Alba (interpretata dall’attrice dell’epoca Lyda Borrelli) o il verde degli alberi del giardino – e di una musica affascinante nella sua uniformità ed al tempo stesso nella diversità dei momenti che descrive.
E se questa Rapsodia brilla per freschezza, anche esecutiva grazie ad una attenta Orchestra del Massimo guidata da Fabrizio Maria Carminati, nonostante l’età, lo stesso non si può dire di Cavalleria Rusticana che in una più che tradizionale, grigia per certi aspetti, poco solare nelle luci di Bruno Ciulli, patinata, sembra non superare il trascorrere del tempo. Come se il tempo si fosse fermato nella piazza del paesino dove ha vita il triangolo di amore e sangue, di vita e morte, dove Compare Alfio con precisione pitagorica risolve il problema nel modo più semplice, ficcando in pancia a Turiddu il coltello e lavando coì l’onta del tradimento della moglie Lola.
Una lettura sbiadita della “rusticanità” sicula
Leggi della Cavalleria, rusticana appunto, la Vita dei Campi, come Verga aveva intitolato la raccolta di novelle da cui Mascagi e i librettisti Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci trassero il plot per la loro opera, ha ben altre regole rispetto a quelle della nobiltà cittadina. Come delle regole ha la messa in scena operistica regole cui la regista Marina Bianchi conosce sì le basi – e su esse si muove – ma manca dello spirito, del quid che rende una messa in scena, anche rispettosa della tradizione, innovativa. Marina Bianchi gioca sui luoghi comuni un po’ stantii della drammaturgia di Cavalleria, come il continuo premere delle mani sul ventre per far comprendere che Santuzza aspetta un figlio da Turiddu, frutto del loro amore, o lo stesso sguardo attonito di Turiddu quando Santuzza gli prende le mani e se le porta al ventre.
E non basta una buona organizzazione delle masse corali a movimentare i momenti più vivaci. Quasi ad accompagnare questa lettura sbiadita della “rusticanità” sicula, Fabrizio Maria Carminati decide di optare per toni che psco sottolineano la freschezza e la drammaticità della partitura di Mascagni. Se in Rapsodia sembrava essere penetrato nei meandri demoniaci e infernali, qui sembra quasi estraneo allo spirito dell’opera con il risultato di una discrepanza sonora tra buca e palco, tra coro, solisti e orchestra.
Bene la Mamma Lucia di Agostina Smimmento
Disomogeneità che non aiuta Sonia Ganassi a tratteggiare il complesso animo di Santuzza, nonostante l’impegno e l’enfasi profusi, o Murat Kahan, che presta il fisico prestante e la voce svettante a Turiddu, ma manca di curare il fraseggio le linee accentuando così il già tipico canto spezzato di certo Verismo operistico, più in voga 50 anni fa che non ora. Irruento, espressivo, anche se un po’ grezzo, il Compare Alfio di Gevorg Hakobiyan. Anche per lui un maggiore lavoro sulla “parola cantata” potrebbe accrescere l’efficacia delle sue interpretazioni. Nei canoni del ruolo la Lola di Martina Belli, dalla voce pastosa e suadente. Bene la Mamma Lucia di Agostina Smimmento, intensa, in particolare, nel suo duetto con Santuzza e poi nel finale.
“Hanno ammazzato Cumpari Turiddu” l’urlo che squarcia l’aere del palcoscenico, con l’orchestra che ne raddoppia drammaticamente l’angoscia e lo strazio, segna uno dei momenti clou dell’opera, insieme al coro e concertato “Inneggiamo al Signore…” e lo struggente Intermezzo, che tuttavia sono passati quasi inosservati nel contesto dell’intera resa scenica, proprio perché mancanti del pathos e del rispetto, se non quello essenziale, delle dinamiche. Rapsodia Satanica e Cavalleria Rusticana saranno ancora in scena il 17, 19, 21 e 23 giugno, alternandosi con quattro recite (dal 16 al 24) dell’Elisir D’Amore di Donizetti, con la palermitana Laura Giordano nel ruolo di Adina e Arturo Chacón-Cruz in quello di Nemorino. Direttore Min Chung, regia e scene Victor García Sierra.