Cultura e Spettacolo

Teatro Verdura di Palermo, serata da non scordare con Netrebko e Eyvazov

“Non ti scordar di me” recita il refrain della canzone di Ernesto De Curtis. E chi potrà scordarsi di Anna Netrebko e Yusif Eyvazov protagonisti di una serata al Teatro di Verdura che sicuramente rimmarrà storica nella mente di chi vi ha assistito, e per tanti motivi. Innanzitutto per il “debutto” in terra sicula di quella che oggi è considerata la coppia glamour della lirica internazionale, poi perché la presenza della “Diva”, “Divina”, “Star” – come spesso viene apostrofata Anna Netrebko, riportando alla mente memorie di altre Star, Dive e Divine, una in particolare, mai dimenticate dai melomani più puri – russa nella stagione estiva del Teatro Massimo, riaperto dopo l’oscuro momento di lockdown causa Covid, investe sicuramente di “Nuova Luce” la Fondazione, aprendo nuovi panorami e possibili progetti di produzioni future. A questo si aggiunge la curiosità, colmata per molti, di vedere sulla scena una coppia nata in palcoscenico – galeotta una Manon di Puccini diretta all’Opera di Roma da Riccardo Muti – e divenuta sempre più salda nella vita e sul palco. E poi, poi, per le splendide pagine musicali proposte da un programma, ardito per certi versi – vocali soprattutto – che annoverava i più amati compositori italiani: Verdi, Puccini, Cilea, Giordano.

E Dvorak, non dimentichiamo Dvorak e lo splendido “Canto alla Luna” dalla Rusalka. Ecco, se si può identificare la magia di una voce, quest’aria sembra essere perfetta. E infatti una magia è stata quella operata da Anna Netrebko nell’interpretare questa supplica, questa preghiera alla Luna perché ispiri l’amato e lo esorti a non dimenticarla. Una voce che si dispiega leggera andando per l’aere, raggiungendo l’infinito, gonfiandosi per poi spegnersi. La duttilità della voce del soprano russo è conosciuta sin dai suoi esordi. Scoperta da Valery Gergeiev ha valicato le impervie sfere dello star system internazionale, partendo dalla lontana Krasnodar e conquistando i maggior palcoscenici dei Teatri d’Opera: dal Bolshoi di Mosca, al Marinskij di San Pietroburgo, al Metropolitan di New York, alla Staatsooper di Vienna, alla Scala di Milano, e poi ancora Berlino, Salisburgo, Monaco, Londra, Parigi. Ovunque un tripudio, come il 12 sera anche a Palermo. Da una voce limpida, chiara, belcantista, Anna Netrebko sfoggia ora una voce più rotonda, dalle linee drammatiche, ma non per questo ha perso la cristallinità del registro acuto. I suoi filati sono proverbiali, quasi al limite della rottura, ma pur sempre sostenuti. La sua Adriana Lecouvreur da Umile ancella si trasforma in una regina del palco, che domina, ammaliando gli astanti.

Così come la sua Tosca che da brava artista dipinge scavandone le sofferenze interiori, nelle fragilità di donna innamorata e al tempo stesso devota. Il suo Vissi d’arte è un doloroso chiedersi del perché della crudeltà che subisce: che ho fatto io di male, si chiede Tosca, Vissi solo d’arte. E’ come se Anna Netrebko provasse intimamente quello che le sue eroine esprimono ed è questo che fa grande un’artista, la eleva appunto al “Divino”. Come ogni soprano della storia che si è ritagliato un suo unicum, anche Anna Netrebko può dire di averlo, ed è tutto lì, nel suo carismatico modo di affrontare il testo e la musica, nel rendere vero e credibile anche il verso più opinabile o naive dell’opera, e soprattutto trasmettere il tutto in chi la ascolta. Che sia consumato mestiere o naturale inclinazione non è dato sapere: il solo fatto è che quando sale su un palco, in concerto come mercoledi sera, o nel dar vita ad un personaggio, il miracolo si compie, l’aria si fa rarefatta e i brividi corrono lungo la schiena. La sua Maddalena che ha chiuso la parte ufficiale del concerto è la donna che sacrifica stessa andando a morire con Andrea Chenier, colui che le ha insegnato ad amare, così come la sua Desdemona che ha aperto invece il concerto è la giovane che estatica si innamora di Otello ascoltandolo raccontare delle sue glorie ma soprattutto delle sue sofferenze. E chi, per esprimere al meglio questi sentimenti, avere al proprio fianco se non colui che nella vita le è accanto, la sostiene, la asseconda, fa ciò che gli eroi, i tenori appunto, fanno – però non sempre – per le loro eroine: Yusif Eyvazov. Marito, compagno, partne, che a lei tutto ha dedicato.

Eccolo quindi passare da Otello, ad Andrea Chenier, Mario Cavaradossi, Federico, Alfredo. Azerbaijano di origine Eyvazov ha studiato in Italia e si può dire sia stato scoperto da Riccardo Muti che lo ha voluto nella Manon romana di del 2013/2014. Da quel momento ha intrapreso una carriera che lo ha portato sia a fianco della moglie che da solista nei maggiori Teatri. Pur non possedendo un timbro, caldo, rotondo, ma al contrario quasi metallico Eyvazov possiede una valida tecnica che in questi anni gli ha permesso di passare da ruoli più lirici a ruoli più eroici e trammatici, da Manrico nel Trovatore, a Radames in Aida, a Calaf in Turandot – di cui si è potuto ascoltare il Nessun Dorma come bis della serata – a Cavaradossi. Tuttavia la scorsa sera, lo si è visto in una nuova veste interpretativa, almeno per chi in questi anni ha avuto modo di ascoltarlo dal vivo, che manca di quella naturalezza espressiva che prima possedeva. Molto più attento ad una ricerca e controllo dei suoni si è trovato a dilatarli e gonfiarli perdendo a volte la realtà ritmica e melodica offerta dalla partitura.

Perfettamente tenuto dalla bacchetta del maestro Michelangelo Mazza, che ha svolto perfettamente il suo compito assecondando le necessità dell’artista, ma al tempo stesso non perdendo di vista la struttura delle pagine musicali e le dinamiche. Pur tuttavia i tempi a volte eccessivamente dilatati e certe “corone” imposte là dove non era strettamente necessario ha fatto un po’ soffrire la resa espressiva e interpretativa di pagine di una struggente bellezza come Un dì all’azzurro spazio, dall’Andrea Chenier, o il Lamento di Federico, dall’Arlesiana di Cilea o ancora la celebre E luean le stelle dalla pucciniana Tosca. Come si diceva molto bene l’Orchestra sotto la guida attenta di Michelangelo Mazza, tanto da sembrare quasi diversa ad appena 24 ore dalla Cavalleria del’’11 sera. Un’amalgama curato, sonorità piene e corpose, quella consapevolezza esecutiva che si è imparato recentemente a riconoscere. Mazza lavora di cesello nei due Intermezzi tratti da Manon e Fedora. Anche il Coro, diretto da Ciro Visco, sembra avere ripreso quello smalto che era sembrato un po’ appannato in Cavalleria. Guizza il “Fuoco di gioia” dall’Otello Verdiano come anche il “Brindisi” dalla Traviata, che sembra proprio spumeggiare nel libare dei calici, per placarsi e spegnersi nella desolazione degli ebrei prigionieri nel “Va pensiero” dal Nabucco. Una serata da “non scordare”, di cui parlare e riparlare… sino al prossimo appuntamento, questa sera, con la Kids Orchestra, poi, a settembre, con il ritorno di Omer Meir Wellber insieme a due amici, Mozart e Shoenberg. Se tutto va bene. Incrociamo le dita.

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