Cultura e Spettacolo

Tecnologia che diventa arte, le stelle e il buio di PyeongChang

“È pieno di stelle” diceva l’astronauta Bowman durante il suo incredibile viaggio in “2001 Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick. Lo stesso abbiamo pensato restando a bocca aperta davanti allo Hyundai Pavilion sulla Medal Plaza dei Giochi olimpici invernali di PyeongChang. Un progetto dell’architetto Asif Khan che, sfruttando la vernice nera più assorbente del mondo, ha prima ricreato il buio e poi lo ha, per l’appunto, riempito di stelle. L’emozione estetica è forte, gli edifici come questo mostrano la capacità di essere vere opere d’arte, e lo spettatore può scegliere, oltre alla fantastica avventura sportiva che si vive qui in Corea, anche di guardare ad altro. Alle stelle e all’universo, come ultimo riferimento – laico ovviamente – del nostro essere. Entrando poi all’interno del padiglione, si capisce come oggi la tecnologia sia una forma d’arte a tutti gli effetti, con quelle gocce d’acqua che ci parlano della mobilità futura (citando anche qui il cinema migliore di fantascienza) e delle possibilità della creatività. Non ci sono solo i quadri o le sculture, c’è qualcosa d’altro, che va oltre l’oggetto, come già la stessa Hyundai aveva dimostrato alla Tate Modern di Londra sostenendo il progetto “AnyWhen” di Philippe Parreno, per esempio. Tra sfere riflettenti che ricordano le sculture di Fausto Melotti o di Anish Kapoor – fate voi, in base al vostro gusto – e stanze dedicate al sole che non possono non richiamare alla mente il grandioso “Weather project” di Olafur Eliasson, sempre nella Turnibe Hall della Tate, si esce con la consapevolezza che il mondo dell’arte è, per fortuna, inafferrabile e sempre in evoluzione, ma, altrettanto per fortuna, non mancano i luoghi un cui provare a entrarci dentro e a capirlo un po’ meglio.

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redazione