Il tenore Kaufmann, ‘gioia’ e ‘pazienza’ necessarie per il canto

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“Gioia” e “pazienza”. Sono le due parole chiave con cui il tenore Jonas Kaufmann, star dei maggiori teatri lirici mondiali, sintetizza la sua esperienza e la sua lezione agli studenti dei conservatori campani e del coro del teatro San Carlo. Due ore di racconti e di ‘botta e risposta’ dal palco del Massimo napoletano, con la platea che applaude e ride, ammaliata da un abile ‘animale da palcoscenico’, conclusa con una dimostrazione della personale versione del tenore tedesco di una seduta vocalizzi e una esibizione in un vecchio successo di Beniamino Gigli, “Partono le rondini- non ti scordar di me”, accompagnato solo dal pianoforte dal maestro Stellario Fagone. Il 47enne tenore di Monaco, in un italiano quasi senza tentennamenti (“Bisogna parlare le lingue, la lingua e’ importante perché se uno canta qualcosa di cui non conosce esattamente il significato non trasmette emozioni”, dice), insiste sulla pazienza: “prima occorre essere padroni della tecnica e poi si possono trasmettere emozioni”. Ma e’ anche “fondamentale per un musicista la gioia. Senza fortunate coincidenze come quelle che ho avuto io non si arriva dove sono arrivato – racconta Kaufmann – ho iniziato a 5/6 anni in un coro perché ero geloso di mia sorella e del suo pianoforte che non potevo toccare. Ho cantato e non ho mai smesso, anche se mio padre diceva che la musica non da’ pane. Per un po’ mi sono interessato di matematica. Sbagliavo. Ho capito che non potevo smettere di cantare”.

Ed è sempre la gioia alla base della sua scelta di non cristallizzarsi “in una cifra definita di ruoli. Io mi annoierei moltissimo. Fare sempre lo stesso ruolo per me non è più creare e sentire, ma e’ un duplicato. Non è una decisione però che si possa prendere da soli – avverte – ma con il proprio strumento, cioè la voce, e con i teatri, cioè con il pubblico. E ho lottato tanto per farlo”. Poi Kaufmann tesse le lodi della melodia e dell’Italia, “dove ci sono ancora i festival come Sanremo. Vuol dire che c’e’ ancora una connessione tra musica pop e classica. La melodia è fondamentale perché lascia una traccia nella memoria di chi ascolta”. Anni di studio intenso i suoi, per mettere a punto anche tecniche che gli consentissero di arrivare a un risultato che persegue con accanimento: “Noi dobbiamo produrre un nuovo movimento ‘naturale’ che si chiama canto, combinando 12 diversi movimenti del corpo e facendo diventare questo banale come parlare. La voce è lo specchio dell’anima, e con quella dobbiamo creare un flusso di emozioni che possa arrivare alla gente”. Quella voce “che è capace di produrre suoni diversi – esplicita il tenore – ma uno solo è giusto e naturale, il meno stressante di tutti. Io sono stato fortunato a trovarlo. Qualcuno dice che e’ troppo scuro e lo romperò tra 2/3 anni. Io sono convinto che potrò cantare sempre così”. Scontato il bagno di folla finale con selfie e autografi, mentre il soprintendente del San Carlo Rosanna Purchia gli consegna un premio degli Amici del teatro.