La situazione rischia di degenerare a Hong Kong all’indomani di una giornata di guerriglia urbana da parte dei dimostranti pro-democrazia e di repressione della polizia che, tuttavia, non sembra aver intimidito i manifestanti, oggi massicciamente presenti all’interno dell’aeroporto del territorio semi-autonomo. Intanto, da Pechino, arriva un segnale molto inquietante: nelle proteste – sostiene il governo centrale – ci sono “segni di terrorismo”. Una dichiarazione dura, questa, che potrebbe preludere a un ulteriore inasprimento dell’azione poliziesca.
La giornata di ieri è stata dura. Se il sit-in pacifico all’aeroporto dell’ex colonia britannica è continuato, molto partecipato ma senza particolari scontri, nel resto della città ci sono stati diversi momenti di violenza tra polizia e manifestanti, con almeno 40 persone che sono rimaste ferite. Tra queste, una giovane insegnante colpita a un occhio da un proiettile a cuscinetto “bean bag” dalla polizia e che rischia di perderlo. Anche gli agenti lamentano feriti, tra cui un poliziotto ustionato a una gamba da una molotov. Le immagini circolate mostrano gli interventi della polizia in stazioni della metropolitana, con lancio di gas lacrimogeni, manganellate e spari di “bean bag round”.
Il punto focale della crisi, a questo punto, è l’aeroporto. Un sit-in nato per sensibilizzare i passeggeri in arrivo e partenza e iniziato venerdì è diventato un presidio. Almeno 5.000 i manifestanti che hanno occupato lo scalo aereo. Le autorita’ aeroportuali hanno cancellato tutti i voli da e per l’ex colonia britannica lasciando diversi turisti disorientati e senza informazioni. Le stesse autorità portuali hanno stabilito che i voli riprenderanno alle 6 del mattino di domani (mezzanotte in Italia), dopo che buona parte dei manifestanti che hanno inscenato un partecipatissimo e pacifico sit-in nello scalo dell’ex colonia britannica stanno andando via.
L’hub internazionale ha cancellato qualcosa come 180 partenze. Secondo la polizia, fino a 5mila persone hanno preso parte al sit-in, ma le immagini hanno mostrato in molti momenti una gran folla che riempiva il terminal imbarchi. Il sit-in era cominciato venerdì. Ieri, mentre all’aeroporto la manifestazione si è mantenuta su un piano pacifico, in diversi punti della città ci sono stati scontri e violenze. Una quarantina di persone sono rimaste ferite. Gli arresti sono stati 15.
“Scusate il disagio, ma stiamo combattendo per la sopravvivenza!”. E’ una delle scritte che appaiono sui poster, cartelloni e graffiti affissi dai manifestanti anti-governativi all’aeroporto internazionale di Hong Kong, radunatisi in migliaia imponendo la cancellazione dei voli. “Vergogna per i poliziotti” e’ una delle altre scritte, in riferimento agli agenti accusati dai manifestanti di corruzione ed uso eccessivo della forza nella gestione delle proteste. Dopo la notizia della ragazza colpita a un occhio, diventata un simbolo della protesta, molti dimostranti vi si sono recati indossando una benda sull’occhio e scandendo: “Occhio per occhio”. Un appello circolato sul web ha chiesto di concentrarsi nell’hub in modo che vi siano un milione di persone lì.
Il clima attorno a questa manifestazione sta rapidamente peggiorando. Ci sono segnali espliciti del fatto che Pechino sta perdendo la pazienza. Dopo che la settimana scorsa, con un’offensiva diplomatica internazionale, ha cercato di bollare i dimostranti come violenti e ha accusato paesi stranieri, gli Stati uniti, di soffiare sul fuoco per suscitare una “rivoluzione colorata”, oggi ha esplicitamente parlato di “terrorismo”. Lo ha fatto attraverso il portavoce dell’Ufficio affari di Hong Kong e Macao Yang Guang, che ha letto una dichiarazione ai media hongkonghesi. Yang ha detto che la città sta vivendo un “momento critico” e ha incoraggiato la polizia locale a usare il “pugno di ferro”. Soprattutto ha affermato che ci sono “segni di terrorismo” nelle violenze dei manifestanti pro-democrazia.
Pechino ha esplicitamente chiarito nei giorni scorsi che, qualora la polizia locale non dovesse riuscire a mettere sotto controllo la situazione, non resterà inerte. La situazione, insomma, rischia di precipitare. Le manifestazioni sono iniziate tre mesi fa, quando l’amministrazione dell’ex colonia britannica ha cercato di far approvare una proposta di legge sulle estradizioni che, secondo i dimostranti, avrebbe consentito alla Cina di mettere le mani sui dissidenti che si trovano a Hong Kong. Il territorio semi-autonomo non ha un accordo di estradizione con la Repubblica popolare e Taiwan.
Sebbene la Chief Executive Carrie Lam, capo del governo locale, abbia annunciato la sospensione di questa procedura e il ritiro della proposta, le manifestazioni sono continuate. I dimostranti sospettano che il ritiro della norma sia solo tattico e temporaneo. Inoltre ormai la protesta ha assunto contorni più ampi, andando ad abbracciare la richiesta di dimissioni per Lam, considerata troppo vicina a Pechino, e la tutela delle libertà democratiche garantite dal sistema “un paese, due sistemi”. Inoltre, i manifestanti denunciano la repressione da parte della polizia.