Come sempre accade nella Lega, la tensione cova sotto traccia. E come sempre accade, la previsione di chi è nel Carroccio da anni è che anche stavolta non esploderà. Gli attacchi più pesanti arrivano dal Veneto, da due assessori della giunta regionale e dall’europarlamentare Toni Da Re che arriva a chiedere le dimissioni di Matteo Salvini. Luca Zaia parla invece dopo la conferenza stampa del segretario, e chiede di una “riflessione seria” e di ascoltare “anche le voci più critiche”. Tutto rientra con una videoconferenza tra i governatori e il segretario, che si chiude con una nota che assicura “l’unità di intenti” nel partito, garantisce il “coinvolgimento dei territori” e degli amministratori locali e soprattutto mette nero su bianco la “comune volontà” di procedere secondo il timing previsto con i passaggi di democrazia interna al partito: in autunno terminare i congressi cittadini per poi celebrare nel 2023 i provinciali e i regionali.
Insomma, nulla che possa assomigliare ad una accelerazione. Piuttosto, l’ennesima assicurazione di una gestione più collegiale e più attenta alle istanze dei territori, una “fase di riorganizzazione che punti su sindaci e amministratori”. Ovvero su chi nel Carroccio fa tutta la gavetta da anni e non su chi – arrivato da poco – ha avuto subito incarichi e ruoli come accaduto nella scorsa legislatura. Ma la tensione c’è, e si respirava negli attacchi di Salvini verso “parlamentari ed eletti” che non si sono impegnati abbastanza nella campagna elettorale, verso chi “ha altri progetti… questa non è una caserma. Tutti sono utili e nessuno è indispensabile”. Una tensione che nei corridoi di via Bellerio dava voce alle critiche contro alcuni amministratori locali che non si sarebbero impegnati più di tanto, soprattutto al Nord Est, nei mugugni rivolti alle assenze di Giancarlo Giorgetti e alla sua scarsa partecipazione alla campagna elettorale. Ma domani ci sarà anche Giorgetti al Federale, nonostante – fanno sapere dal suo entourage – la lombo-sciatalgia che da settimane lo tormenta, “costringendolo a rivedere più volte gli appuntamenti previsti nella campagna elettorale”.
A loro Salvini spiegherà la strategia con cui intende recuperare il voto soprattutto dagli astenuti. I temi identitari, a partire da caro bollette e autonomia, su cui marcare la presenza nell’esecutivo, ma anche i ministeri che si appresta a negoziare con Giorgia Meloni e Forza Italia, dalla posizione di oggettivo svantaggio cui le urne hanno relegato il Carroccio: tra i dicasteri pesanti gli Interni “lo consideriamo dovuto”, si lascia scappare un dirigente leghista. Ma non è un mistero che Salvini punta anche a Giustizia e Agricoltura, oltre al Turismo. Perchè è vero che in termini di voti il divario con FdI è enorme, “ma da oggi conta il numero dei parlamentari”, sottolineano in via Bellerio. E come ha detto lo stesso Salvini in conferenza stampa, “meglio l’8% con 100 parlamentari” in un governo di coalizione dove “saremo protagonisti”, che i numeri della scorsa legislatura ma in un governo dove “eravamo comparse”. Ma anche sulla squadra di governo la tensione è palpabile: “Sarà eccellente e composta in base al merito, non su altri ragionamenti”, ha avvertito Salvini.