Tensioni nel Pd, Errani dice no a segreteria. Ora Renzi riflette su referendum
IL PASSO INDIETRO Si prova a disinnescare automatismo sconfitta-dimissioni Governo. I bersaniani preparano l’affondo al premier
Vasco Errani dice no, Nicola Zingaretti dice no. I big del Pd che fino a ieri al Nazareno si immaginavano come gli innesti possibili per segnare il “rinnovamento” del partito e coinvolgere più pesantemente le altre anime Dem, si sfilano dall’ipotesi. E Matteo Renzi nella e-news mette la pietra tombale su questa strada: “Il Pd deve caratterizzarsi per le cose che propone, non per le proprie divisioni interne”. E allora no alla “classica polemica sulle poltrone in segreteria o sul desiderio delle correnti di tornare a guidare il partito. Non credo ai caminetti: apriamo le finestre, spalanchiamole, altro che caminetti”. E se una tregua con la minoranza interna si allontana, per il premier si apre un nuovo motivo di riflessione: lasciare “in vigore” l’automatismo tra sconfitta al referendum e sue dimissioni, oppure provare a derubricare il tema, cercando in extremis di togliere la sua testa dal tavolo della consultazione sulle riforme? Una strada che in molti nel partito, anche e soprattutto dalla maggioranza, da tempo caldeggiano a Renzi. A maggior ragione dopo l’esito dei ballottaggi alle comunali. Lo dice Dario Franceschini (foto), lo pensano i Giovani Turchi di Matteo Orfini e Andrea Orlando, che si riuniranno oggi e chiedono di “fare uno sforzo per stare sul merito: l’obiettivo è troppo rilevante per essere legato ai destini del governo e del presidente del consiglio”.
Lo fanno i parlamentari che fanno riferimento a Maurizio Martina: “Da tempo gli diciamo che è la strada sbagliata”. Ma per il premier tornare indietro non è così facile: “Come fa oggi a dire ‘scherzavo, non mi dimetto’?”, si chiede più di un parlamentare Dem. La soluzione sembra essere allora quella intermedia: evitare di calcare ancora la mano sull’argomento. Come Renzi ha già iniziato a fare oggi: nessun accenno alle sue dimissioni, nel passaggio della e-news in cui chiama alla mobilitazione i suoi sostenitori. Ma solo argomenti di merito, considerati ancora appetibili per gli elettori: con le riforme avremo “istituzioni più semplici. Più efficaci. Più sobrie e giuste”. Al contrario, “senza questa riforma, torneremmo all’ingovernabilità. Agli inciuci del giorno dopo”. Che iniziano a diventare uno spettro, per i renziani, anche per il giorno dopo del referendum. Non a caso Bersani e Speranza hanno suggerito a Errani di restare fuori dalla segreteria. Ufficialmente, nessuna richiesta sarebbe arrivata all’ex presidente dell’Emilia romagna, ma un renziano diceva che proprio intorno al coinvolgimento di Errani ruotava la strategia di Renzi per ricompattare il partito in vista del referendum, “perché se Errani accetta – era il ragionamento – vuol dire che Bersani ha dato l’ok”.
Ma chi in queste ore ha parlato con Errani ha assicurato che l’ipotesi di un ingresso in segreteria non esiste. Ufficialmente, appunto, perché “nessuno lo ha chiesto”, ma di fatto perché i bersaniani non ci stanno a farsi imbrigliare, vedono la possibilità di portare l’affondo finale a Renzi: “Per vincere il referendum – ragiona uno di loro – ha bisogno di 15-16 milioni di sì. E non sarà per niente facile, soprattutto se il Pd non sarà mobilitato dal primo all’ultimo uomo. Noi magari voteremo sì, per coerenza, ma la campagna non la faremo…”. E poi, continua il ragionamento, “se al referendum vincessero i no e Renzi davvero si dimettesse, l’unica strada sarebbe un governo istituzionale per fare una nuova legge elettorale, e nel frattempo svolgere il congresso Pd”, dicono i bersaniani. E il partito del non voto potrebbe vedere insieme diversi settori del Parlamento. Soprattutto con l’argomento della modifica all’Italicum: con la vittoria dei No al referendum, la nuova legge elettorale sarebbe in vigore alla Camera, non al Senato, rendendo praticamente certa la necessità di alleanze. Red. Pol.