Questo particolare gruppo di linfociti potrebbe quindi restare in ‘allerta’ nel tempo ed entrare in azione anche in caso, ad esempio, di recidive. Lo studio è pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Science Translational Medicine. L’importante scoperta è stata possibile grazie ad uno studio effettuato su un gruppo di bambini affetti da deficit di adenosina deaminasi (ADA-SCID è una grave immunodeficienza ereditaria che rende i bambini che ne sono affetti suscettibili a qualsiasi infezione e costantemente in pericolo di vita) e trattati con una tecnica pionieristica di terapia genica negli anni ’90 (lavoro pubblicato su Science nel 1995). Il trattamento prevedeva infatti l’uso di linfociti T modificati geneticamente e reinfusi nel sangue dei pazienti.
Queste cellule, tenute monitorate nel tempo con un innovativo e tecnologico metodo di tracciatura molecolare che funziona come un ‘codice a barre’, hanno rivelato la straordinaria capacità di persistere negli anni nel sangue, e di fungere da riserva per le cellule che agiscono in prima linea contro agenti infettivi o cellule malate. Il gruppo dei ricercatori del TIGET ha potuto così tracciare per molti anni le dinamiche e il destino delle cellule infuse nei pazienti scoprendo così una nuova arma immunoterapica applicabile su altre malattie e tumori.
Spiega Luca Biasco, ricercatore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia genica (TIGET) e primo autore del lavoro insieme a Serena Scala ricercatrice dello stesso Istituto: “Prima di questo lavoro si ignorava quanto queste cellule potessero persistere nell’uomo mantenendo il loro potenziale. Attraverso l’analisi nel tempo del loro “codice a barre” molecolare abbiamo scoperto che queste cellule vivono molto a lungo (più di dieci anni) e sono in grado di generare tutti i tipi di linfociti T responsabili della risposta nei confronti di agenti patogeni”.