“Terracqueo” l’altra faccia del Mediterraneo in 324 reperti

15 settembre 2020

Dai saggi dei più grandi autori di pubblicazioni sul Mediterraneo emerge spesso che a dominare è la terraferma, analizzata e approfondita con lunghe e meditate indagini verso l’interno piuttosto che verso la distesa d’acqua nella quale città grandi e piccole si specchiano. Il mare svolgerebbe una funzione di supporto. Leggendo questi studi, ci si immerge non nelle acque del mare, ma in quelle della storia più periferica, marginale, costiera. Questa mostra, o meglio questa “narrative exhibition”, non a caso è intitolata “Terracqueo”. E non per fare un torto al mare, che rimane il protagonista: non esisterebbe, altrimenti, la terraferma. “Terracqueo” è stata inaugurata oggi a Palazzo Reale di Palermo e resterà visitabile fino al 31 gennaio 2021.

Ricostruire la storia del Mediterraneo – lungo un percorso articolato in 8 sezioni, dalla geologia ai giorni nostri, passando per il commercio, le guerre, le navigazioni e l’archeologia subacquea – assume un significato che è solo marginalmente “espositivo”. Il tentativo, certamente ardito e sicuramente apprezzabile della Fondazione Federico II e del Comitato Scientifico multidisciplinare con la collaborazione di decine di prestigiose istituzioni museali, è di raccontare e trasferire al visitatore “un” concetto di Mediterraneo per dargli accesso alla sua “anima”, pur nelle diverse sfaccettature e opinioni messe in evidenza nel tempo da autori come Braudel, Abulafia e Broodbank. L’obiettivo è dichiarato: donare al visitatore una chiave di lettura dell’antichità per rituffarlo improvvisamente nel presente e fargli percepire cosa era il Mediterraneo ieri e cosa è diventato oggi. Ecco perché l’ultima sezione è intitolata “Il Mediterraneo. Oggi”, un reportage crudo e senza filtri, opera della fotografa Lucia Casamassima e del giornalista Carlo Vulpio, che avverte: “non ci troviamo di fronte ad un melting pot e nemmeno di fronte a diversità da tenere assieme, bensì a tante identità e culture profonde. É il più grande condominio del mondo, all’interno della quale ognuno considera gelosamente nostrum la fetta di mare da cui è bagnato”.

E allora pronti a incunearsi letteralmente in Terracqueo, nelle Sale Duca di Montalto del Palazzo Reale di Palermo, dentro un racconto scandito da 324 reperti, ognuno con un significato legato alla narrazione, costruita grazie a lavoro corale coordinato dalla Federico II col Comitato scientifico, in collaborazione con il Dipartimento dei Beni Culturali e il Centro Regionale per il Restauro, con numerosi musei regionali e civici, soprintendenze, con la prestigiosa collaborazione di musei nazionali come il Museo Archeologico Nazionale di Napoli “Mann”, i Musei Capitolini e il Museo Etrusco di Volterra. Un prezioso e proficuo supporto, poi, giunge dal Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Palermo e dal Museo “G.G. Gemmellaro” e le tre Fondazioni (Fondazione Sicilia, Fondazione Mandralisca e Fondazione Whitaker). Determinante il contributo concreto di importanti studiosi tra i quali Luigi Fozzati, Stefano Medas, Marco Anzidei, Nino Buttitta, Massimiliano Marazzi, Caterina Greco, Carlo Beltrame, Carla Aleo Nero, Babette Bechtold, Giulia Boetto e Marilena Maffei. Otto “step” narrativi attendono il visitatore, che diventa viaggiatore sia nel tempo, attraversando millenni, che nello spazio sia esso marino, sopra e sott’acqua o nella terraferma : “Un mare di storia”, “Un mare di migrazioni”, “Un mare di commerci”, “Un mare di guerra”, “Un mare da navigare”, “Un mare di risorse”, “Archeologia subacquea: passato e presente”, “Il Mediterraneo. Oggi”.

I REPERTI

I reperti. 12 rostri, 19 elmi, 65 monete, 20 ancore, 24 anfore. Sono solo alcuni dei 324 reperti esposti. L’oggetto diventa il tassello di una storia antropologica. Il percorso espositivo inizia con un reperto di richiamo internazionale: l’Atlante Farnese, realizzato nel II sec. d. C. prendendo spunto da una più antica scultura di fase ellenistica. È stato volutamente collocato all’inizio del percorso perché incarna la visione della mostra. E’ il simbolo della ricerca di una rotta oggi troppo spesso smarrita. Oltre al valore estetico suscita un interesse di natura scientifica: Atlante sorregge il globo celeste sul quale stesso vengono correttamente raffigurate le costellazioni, la precessione degli equinozi e alcuni meridiani e paralleli, di fatto una sbalorditiva sintesi tra arte e astronomia, già attestata in tempi antichi. Tra i reperti c’è anche la Nereide su Pistrice databile ai primi decenni del I secolo d. C., venne ritrovata nella villa che Publio Vedio Pollione fece costruire sulla collina un tempo chiamata Pausilypon oggi Posillipo.

La particolarità della Nereide di Posillipo è che non rientra in schemi confrontabili, esclusa la possibilità che possa derivare da un modello ellenico del IV-III secolo a. C. di derivazione scopadea. Un altro spaccato di vita è rilevato dal Louterion ritrovato nel relitto di Panarea III: ci conferma infatti la presenza a bordo di altari destinati a riti propiziatori connessi alla navigazione, riconducendo alla natura umana che da sempre nei percorsi rivolti verso l’ignoto si affida alla preghiera. Il Cratere del Venditore di tonno, databile alla prima metà del IV sec. a.C. in un’area che si è inclini a localizzare in Sicilia, svela una scena di grande attualità, ricorrente anche nei mercati rionali odierni e testimonia la perpetuazione delle antiche tradizioni fino ai nostri giorni: un venditore di pesce sta affettando un tonno su un ceppo e il compratore per concludere l’acquisto è provvisto di una moneta.

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