Terremoto centro Italia, la causa in quella linea di attrito lungo l’Appennino
GLI ESPERTI L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia: “Dovremmo approfittare almeno di questa circostanza per mettere in sicurezza il territorio”
Una grande parte del territorio italiano è posto su una micro placca tettonica chiamata “adriatica” che coincide a Ovest con la dorsale appenninica, si spinge a Nord sulle Alpi orientali e poi ridiscende verso Sud lungo i Balcani e la Grecia occidentale. Questa sorta di “promontorio”, facente parte della placca africana, spinge contro la placca europea e l’attrito genera quel tipo di terremoto che alle 3.36 del mattino ha colpito il Reatino, del tutto analogo a quello che hano generato il sisma dell’Aquila del 2009 e di Colfiorito nel 1997. La spiegazione è stata data oggi all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, dalla direttrice della struttura terremoti dell’Ingv, Daniela Pantosti, e dai sismologi Alessandro Amato e Massimo Cocco. Ora, ha spiegato Amato, si deve immaginare un rettangolo di forma molto allungata che coincide perfettamente con la dorsale appenninica e della “costa” occidentale della micro-placca sottostante. A sinistra del rettangolo, cioè nella parte tirrenica, si verificano dei micro spostamenti (misurabili dal sistema sistema Gps) orientati verso Nord, mentre in tutta la parte adriatica, dalla Puglia all’Emilia Romagna, si registrano degli spostamenti più cospicui e frequenti orientati verso Nord Est, che consistono in qualche millimetro l’anno. Questo vuol dire che c’è una zona adriatica che si sposta verso Nord Est e una zona tirrenica sostanzialmente ferma o in lieve movimento in un’altra direzione. E’ proprio all’interno di quel rettangolo, dove i due spostamenti sono compresenti, che si registrano i terremoti caratteristici dell’Appennino centrale e meridionale.
“In sostanza – ha detto Amato -, la parte adriatica e la parte tirrenica si allontanano lentamente, a causa di rotazione di blocchi geologici, con una velocità di 3, 4, 5 millimetri per anno, che sembra una cosa piccola ma in realtà, se ragioniamo in tempi geologici, dopo cento o duecento anni i millimetri son diventati metri. Questo significa che c’è abbastanza energia, lungo le faglie che abbiamo in Appennino, per farle muovere. Le faglie resistono fino a che possono e poi devono sbloccarsi, scattano e provocano un terremoto. In questo caso è avvenuto un terremoto di magnitudo 6 in una faglia lunga circa 20, 25 Km, con uno spostamento che sarà di qualche decimetro da una parte rispetto all’altra”. Il terremoto di questa mattina si è dunque verificato in una “zona sismica ben nota – ha aggiunto Massimo Cocco -, che è al più alto livello di pericolosità sismica. Nella classificazione sismica è infatti la 1, la più alta”, quella in cui “tutti gli edifici nuovi devono essere costruiti con criteri antisismici. Il problema – ha sottolineato Cocco – è che in quelle zone di edifici nuovi ce ne sono ben pochi e addirittura il 50% delle scuole è stato costruito prima del 1980, quindi senza alcun criterio antisismico”. Per questo, ha concluso, “l’unico modo per evitare i danni è la prevenzione”. “Rispetto alle grandi faglie dei terremoti di subduzione, come quelli che l Pacifico, dove ci sono terremoti di magnitudo 9 o addirittura superiori, e ci sono faglie lunghe centinaia o più di mille chilometri”, quelle che caratterizzano l’Appennino “sono microfaglie”, prosegue Amato. “Ma alla nostra scala e soprattutto con il nostro tessuto edilizio, che purtroppo è molto vulnerabile, queste faglie diventano delle faglie importanti. Non dovrebbe essere così, perché da questo tipo di terremoti ci si può difendere. Dovremmo approfittare almeno di questa circostanza per mettere in sicurezza il territorio”.