La ricercatrice e’ stata condotta dagli uomini della polizia di Stato nel carcere del Pagliarelli. Lo scorso gennaio il Tribunale del Riesame aveva disposto la custodia cautelare in carcere per la donna, sospendendo l’esecuzione della misura in attesa della pronuncia della Suprema Corte. Ma gia’ allora i giudici sottolineavano: “Sembra avere qui, in uno Stato che la ospita e che le ha riconosciuto un ruolo, una missione: diffondere il pensiero del terrorismo islamico, che nulla ha a che vedere con il credo di religione”. Secondo il collegio inoltre la cittadina di Bengasi “ha mostrato di essere in grado di padroneggiare gli strumenti di comunicazione massa con spregiudicatezza – si leggeva nel provvedimento di 46 pagine – e di volerli finalizzare alla diffusione dell’esaltazione della guerra e del terrorismo islamico. E’ chiaro che la misura dell’obbligo di dimora e’ quanto meno distonica rispetto al fine cautelare”.
Khadiga Shabbi era stata fermata poco prima di Natale, ma il provvedimento contro di lei era stato tenuto riservato per alcuni giorni. Poi, a sorpresa, il Gip Fernando Sestito aveva ritenuto sufficiente una misura cautelare non restrittiva. Questo perche’ la ricercatrice universitaria di Economia, a Palermo da tre anni con una borsa di studio del governo libico, si sarebbe limitata a una intensa attivita’ di propaganda sul web, senza che fossero dimostrati i suoi legami con le organizzazioni terroristiche di cui parlava nei suoi post sui social network, in particolare Facebook, dove agiva anche con profili non riconducibili direttamente a lei.
La Procura aveva obiettato pero’ che secondo i recenti provvedimenti legislativi sul terrorismo e la prevenzione, il reato si configura anche con la semplice propaganda. La donna avrebbe manifestato particolare sensibilita’ per i proclami di Ansar Al Sharia Libya e del suo leader Ben Hamid Wissam, avrebbe visitato e sarebbe intervenuta pure in gruppi di Facebook ritenuti legati all’estremismo islamico e avrebbe condiviso dichiarazioni di incitamento alla guerra e alla violenza, mostrando anche immagini di bambini coinvolti in atti bellici. Erano emersi pure contatti con foreign fighters e avrebbe cercato di vendicare il nipote, Abdulrazeq Fathi Al Shabbi, definito un martire, morto in un conflitto a fuoco.