Testimonianze dall’inferno di un gommone: “Così sono morte quelle donne”
IMMIGRATI Mary: “Non respiravo, ho dovuto mordere per cercare di respirare”. David: “Il peso delle persone ha lacerato il natante e l’acqua ha cominciato a entrare”
C’e’ David, 30 anni, della Nigeria: “Mi sono imbarcato sul gommone tre notti fa. E’ stata una notte orribile, alcuni uomini sparavano colpi in aria, hanno radunato le persone e le hanno spinte verso il mare. Hanno caricato troppe persone sulla nostra barca, troppe persone. La barca era completamente piena”. E poi Mary, 24 anni, anche lei nigeriana, era insieme al marito: “Durante la traversata in mare, l’acqua entrava nella barca. Stavo annegando, lottavo per sopravvivere. Invece di aiutarmi, le persone mi calpestavano e mi usavano per cercare di stare a galla”. Sono alcune delle testimonianze dall’inferno del gommone dove la sera di mercoledi’ sono stati trovati 22 morti, tra cui 21 giovani donne. Testimonianze raccolte da Medici senza frontiere che hanno assistito, insieme al personale di Sos Mediterranee, i 209 tratti in salvo al largo della Libia e fatti salire su nave Aquarius che li ha condotti a Trapani.
“Il fondo del gommone si e’ rotto – riprende David – il peso delle persone lo ha lacerato e l’acqua ha cominciato a entrare. Quando l’acqua ha raggiunto l’altezza delle ginocchia, le ragazze che erano sedute al centro sono state prese dal panico, urlavano e gridavano. Alcune di loro hanno provato ad alzarsi ma scivolavano indietro nella pozza di acqua e benzina. Alcune mordevano gli uomini con i denti, perche’ erano intrappolate sul fondo del barcone. Non potevamo andare da nessuna parte ma le persone si spostavano, cercavano di non scivolare, di non rimanere intrappolate nella pozza di benzina e acqua, ma quando si muovevano da un lato o dall’altro entrava sempre piu’ acqua. Quando e’ arrivata la nave italiana, sono state portate via per prime tutte le donne ancora in vita”. C’era una ragazza ancora viva sotto i corpi dei morti ed e’ stata tirata fuori.
Mary, riprende: “Non respiravo, ho dovuto mordere per cercare di respirare. Ho detto a Dio che non volevo morire. Poi qualcuno ha urlato ‘tua moglie ti sta chiamando’ e mio marito mi ha preso la mano e mi ha trascinato per farmi riuscire a respirare. Le persone mi camminavano addosso. Alcuni mordevano mio marito, il suo corpo era pieno di morsi. Ha usato tutta la forza che gli rimaneva, mi ha preso e mi ha stretto contro il bordo del gommone. Quando e’ passato un elicottero, abbiamo cercato di farci vedere muovendo le mani e chiedendo aiuto. Ho pensato che anche la polizia libica sarebbe andata bene. Sarei tornata in quella prigione piuttosto che morire in mare. Dio mi ha dato una seconda possibilita’”. Mary ha passato due mesi in Libia. E’ stata in prigione: “La’ violentano le donne giovani. Non puoi dire di no. Loro hanno le pistole, urlano, parlano nella loro lingua. Speravo non mi guardassero, che mi vedessero come una donna adulta. Cercano giovani ragazze attraenti. Ti picchiano come animali. Tutti i giorni le persone piangevano, svenivano, se chiedevi aiuto ti ridevano in faccia. Ogni tanto aprivano la prigione e dicevano di scappare, ma poi ti raggiungevano e riportavano in prigione”.
“Quando siamo arrivati sul luogo del soccorso – dice Erna Rijnierse, medico di Msf sulla Aquarius – ci ha colpito subito il silenzio. Ho chiesto il permesso di entrare nella barca. L’acqua mi arrivava ai polpacci. C’era un odore fortissimo di carburante, misto a urina e altri elementi. Era difficilissimo non calpestare i corpi, ma volevo essere assolutamente certa che le donne fossero davvero oltre il punto di una possibile rianimazione. Era chiaro che non erano morte negli ultimi minuti e potevi vedere nei loro occhi che avevano lottato per sopravvivere. Molti dei sopravvissuti avevano bruciore agli occhi dovuto ai gas o al carburante. Altri avevano graffi e morsi sulle gambe, sulla schiena e sulle braccia. Probabilmente glieli avevano procurati le ragazze schiacciate a terra mentre cercavano di liberarsi. Deve essere stato un inferno. I sopravvissuti sono traumatizzati, guardano nel vuoto, gli sguardi persi”.
Ferry Schippers, coordinatore Msf, aggiunge: “Dopo la chiamata di emergenza, ci e’ stato chiesto di dirigerci verso est il piu’ velocemente possibile. Ventidue morti evitabili. I miei pensieri sono subito andati a chi era ancora a bordo del gommone in attesa di essere soccorso. Dovevamo portare queste persone a bordo il piu’ velocemente possibile. Abbiamo soccorso sull’Aquarius prima i 104 sopravvissuti di questa imbarcazione, poi le 105 persone a bordo dell’altra. Le persone che salivano a bordo guardavano nel vuoto, verso un punto lontano. La maggior parte di loro non rispondeva nemmeno. Un uomo, in francese, mi ha detto: ‘Mia moglie e’ morta ed e’ ancora sul gommone, non so cosa fare…’. Poi abbiamo iniziato l’ultima parte dell’operazione, recuperare i corpi senza vita. Con una barella e una carrucola li abbiamo tirati a bordo uno a uno, nel massimo rispetto. Il gommone sembrava non svuotarsi mai”.
Ablaygalo Diallo, mediatore culturale di Msf: “A Trapani l’equipe di cui faccio parte ha dato supporto psicologico ai sopravvissuti. Tra loro un uomo nigeriano, cha ha visto la moglie morire davanti ai suoi occhi durante la traversata. Sono rimasto a lungo vicino a lui. Mi ha raccontato di come insieme alla moglie sono fuggiti dalla Nigeria e hanno attraversato il deserto. La donna, incinta, durante il viaggio verso la Libia ha perso il bambino. Nonostante le enormi difficolta’, sono riusciti a partire insieme. Il gommone stracarico su cui viaggiavano ha ceduto sotto il peso delle persone, piu’ di cento, creando una falla. Le donne che stavano al centro sono morte asfissiate e affogate, mi ha spiegato l’uomo in lacrime. Non ha piu’ visto sua moglie e si e’ reso conto solo a bordo dell’Aquarius che era tra i cadaveri, riconoscendola dalla maglietta che indossava. Dopo questo orribile racconto sono riuscito a calmarlo, a convincerlo a chiamare la famiglia a casa. Quando ha sentito la voce della madre dopo mesi, ho visto un sorriso sul suo viso. E’ stato difficilissimo per me spiegargli quale sara’ il suo futuro ora che e’ arrivato qui”.