Tiziano Ferro senza filtri: io, l’alcol e le mie cicatrici in un film

Tiziano Ferro senza filtri: io, l’alcol e le mie cicatrici in un film
Tiziano Ferro
4 novembre 2020

C’è il periodo adolescenziale del disagio del sovrappeso, quello del coming out dell’omosessualità, ma anche la dipendenza dall’alcol, la paura della popolarità, la relazione con Victor (il suo attuale compagno), la musica come “cura e antidepressivo”. Tiziano Ferro si mette a nudo e si racconta in tutta la sua intimità, nel documentario “FERRO”, in esclusiva su Amazon Prime Video dal 6 novembre. E un sottotitolo che fa da cornice all’intera storia: “L’uomo dietro la popstar”. Ottanta minuti di racconto in presa diretta, in cui l’artista di Latina (che ora vive a Los Angeles) si mostra per come è: si emoziona, piange, ride, mostra la sua quotidianità casalinga con Victor. Ci sono le interviste alla mamma, al suo compagno. E poi i suoi disagi: il sovrappeso, il bullismo, la discriminazione, fino all’alcolismo. “Ho sempre pensato che dietro ogni storia di dolore si nascondessero il privilegio e il dovere morale di aiutare qualcun altro. La mia storia me lo insegna e ogni volta che ho consegnato alla gente le mie cicatrici, si sono sempre trasformate in soluzioni”, recita l’artista.

“Guardo il mondo dal filtro delle cicatrici, dove li vedo come se fossero i miei superpoteri: mancata accettazione, depressione, ansia, dipendenze. Mi vestivo ogni mattina di un corpo che non era il mio”. Come ha deciso di raccontarsi, per la prima volta, in un documentario? “E’ una cosa che ho imparato piano piano – risponde durante l’intervista a un gruppo di giornalisti -. Sono diventato quasi involontariamente famoso a vent’anni, non sai chi sei, non sai cosa vuoi, non sai niente. A vent’anni tutti mi chiedevano chi sei, chi vuoi essere, dove vai? Io proprio non lo sapevo. Sono diventato un uomo adulto davanti alle telecamere, è stato complesso. Questa cosa ha scatenato un senso di sana disperazione nei confronti del mio stato d’essere che mi ha portato per disperazione, ma fortunatamente, a cercare una soluzione, a quel tormento, a questa incapacità di capire dove stavo andando, nonostante la mia carriera andasse da Dio. Io come persona ero ferma: non mi accettavo, stavo male, non avevo amici e ho iniziato percorsi di analisi”.

“Poi finalmente – racconta ancora Ferro – ho fatto pace con me stesso e ha scatenato una serie di onde positive che mi hanno portato a capire che il privilegio più grande che avevo era soltanto una versione di me stesso davanti a tutti: con mia madre, mio padre, mio fratello, con tutti. Mi sono liberato di doppie e triple vite che ti rendono schiavo di una cosa che alla fine non ha senso. È stata la prima esperienza con il potere curativo della verità, per quella che è. Tanto le persone ti ameranno e odieranno comunque, anche se filtri i tuoi gesti. Allora tanto vale dare quelli veri. E da li non mi sono più fermato, non ho più voluto filtrare nulla”. Il problema dell’alcolismo, dice, “ha richiesto un po’ più di tempo, perché è stata una prova più recente ed è arrivata perché dopo diversi anni facevo fatica a mantenere questo tipo di anonimato nei gruppi di recupero. Stava però diventando complesso rimanere anonimi nei gruppi italiani”.

Da qui l’obiettivo di arrivare alla soluzione: “Si parla di problemi: alcol, violenza, emarginazione, droga, ma non si spende tanto tempo a parlare di soluzioni. Il problema lo conosciamo. Tutti parliamo dei ragazzi che si schiantano contro un muro perché bevono troppo, ma non capiamo cosa c’è dietro; non parliamo del fatto che dipendenza dal bere non dipende dalla quantità ma dall’ossessione, che spesso ha matrice genetica che può essere disinnescata”. “Tutte queste serie di cose – prosegue Ferro – mi hanno fatto pensare che era il momento di raccontare una storia esattamente per quella che era. È una storia più recente rispetto a quella dell’omosessualità, avvenuta in tempi molto più attuali”. “Ho sempre sostenuto un messaggio – prosegue nella sua chiacchierata Tiziano Ferro – la musica è stata la mia salvezza, la mia via di salvezza nei confronti del degrado, spesso meno evidente del degrado che conosciamo dell’indigenza e della povertà. Spiritualmente ed emotivamente la musica è stata per me una grande soluzione; contro i sentimenti di rabbia, paura, dolore, la musica diventava un canale fortissimo, perché riuscivo a scaricare le cose li. La musica è stato un grande ansiolitico, antidepressivo, con un grande potere curativo.

Sul coming out e la sua omosessualità, Ferro dice: “Io ho preso l’ultimo treno in terza classe, sono nato nell’80 e ho vissuto fortemente in un ambiente di discriminazione, di omofobia fortissima, violenza e pestaggi nella mia città, non solo nella mia città ma io vivevo li e vedevo quelli, di scherno, di discriminazione estrema negli ambienti di lavoro, di terrore, eppure per una serie di incastri fatti di giusto grado di disperazione, spirito di autoconservazione, incontro con i giusti psicologi, amici, sono arrivati in un punto in cui ho detto: questo sono io, è la mia versione unica, mi piace e mi va più che bene. Allora cominci a parlarne, ma mi sono sentito comunque fortemente handicappato dalla realtà in cui ho vissuto. Per cui comprendo uomini che a 50-60 anni non ce la fanno. Non li giudico, non giudico nessuno ma soprattutto loro. Lo capisco, grande empatia, mi dispiace ma lo comprendo. Oggi un ventenne e un trentenne forse li comprendo un po’ meno, gli direi: forse è il caso di uscire fuori, di parlare, il tuo pubblico è pronto a volerti bene indipendentemente”.

Sul film, intitolato “Ferro” in uscita il 6 novembre su Amazon Prime Video, racconta di essere stato condotto per mano dalla piattaforma. “Mi hanno detto: la forma migliore per raccontare la tua storia e offrire strumenti di prevenzione è la piattaforma televisiva, e ho detto sì. Una condizione: non deve essere un documentario musicale. E sono partito”. Certamente, non è stato facile. “Quando ti segue una camera per sei mesi, quello che succede e quello che accade, ti vedrà stanco, gonfio, rosso…faccio fatica poi a rivedermi, perché è una versione di me che nella vita non voglio vedere. E ora per la prima volta la vedo. Un po’ di fatica l’ho fatta. Mi avevano detto: sarà un lavoro che ti sfinirà e purtroppo/per fortuna è stato così”. “Non ho chiesto nemmeno una modifica estetica, neanche una – confida in conclusione – perché se avessi iniziato a pensare alla selezione delle immagini in funzione di una bellezza tipica di un altro linguaggio, allora non stavamo facendo quello. Ammetto che mi fa ancora strano guardarlo. Ma questa volta mi sono tanto fidato”.

VI PRESENTO IL MIO PRIMO DISCO COVER

“Il disco non era pensato inizialmente come un disco, è stato il mio modo di reagire a questo periodo così drammatico. Non ho tempo di lamentarmi, non posso e non ne ho diritto, a fronte di tante persone che stanno veramente soffrendo. Cosa posso fare? Musica. Sono 25 anni che ho pronto un disco cover. E’ arrivato il momento”: così Tiziano Ferro ha presentato il suo nuovo album “Accetto Miracoli:l’esperienza degli altri”, primo disco di cover dell’artista, in uscita il 6 novembre.

“È stata la mia piccola personale perla per combattere – ha aggiunto Ferro in collegamento da Los Angeles – perché so che la creatività e l’arte sono sl’antidoto numero 1. Ed è diventato anche un progetto”. Tiziano Ferro ha reinterpretato 13 brani di altrettanti autori italiani. Il disco esce il 6 novembre su etichetta Virgin Records (Universal Music Italia) nei formati doppio CD, doppio LP e album digitale con 25 tracce (le 13 cover più i brani di “Accetto Miracoli”), oppure LP (con le 13 cover).

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