Il piano B per la Libia fa ripiombare il Paese indietro di un secolo, ai tempi del colonialismo. Con buona pace (malgrado la fine indecente e terribile) del colonnello Gheddafi che con il suo colpo di Stato non solo riunificò il Paese nella Jamahirya ma pensava addirittura ad una “Panarabia”. Un piano B che dietro l’intento di sconfiggere l’Isis (almeno 6500 sarebbero i terroristi nel Paese) di fatto divide la Libia nelle tre regioni dell’impero ottomano: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, riunite nel periodo coloniale. Un piano B a cui si arriva dopo la scellerata decisione di Sarkozy di spodestare il Raìs che preferiva avere rapporti commerciali con l’Italia malgrado il colonialismo e Omar al Mukhtar l’eroe per la cui resistenza e morte Ghaddefi pretese le scuse dall’Italia. Scuse fatte dallo stesso Berlusconi che così si conquistò la fiducia del colonnello e quindi la firma di contratti vantaggiosi per le nostre aziende… Un piano B che prevede la Cirenaica (con i pozzi di petrolio) sotto il protettorato della Gran Bretagna, il Fezzan (con i giacimenti di metalli rari) sotto la Francia e la Tripolitania sotto l’Italia. E’ vero, la Libia dalla morte del “suo” dittatore non riesce ad avere un governo di unità nazionale, un governo riconosciuto dalla miriade di tribù che sono tornate a chiedere rappresentanza e diritti, ma pensare di “invadere” un Paese addirittura dividendolo a tavolino tra alleati europei pensando di fare il bene dello stesso Paese ma, soprattutto pensando di difendere l’Europa dall’Isis, sa di guerra non certo di democrazia. Del resto invadere la Libia significa entrare in guerra non far decollare i droni da Sigonella… Siamo in guerra con l’Isis che da mesi mette on line i suoi bersagli preferiti: Parigi, Londra e Roma. Vaticano compreso. Cominciamo una guerra che abbiamo già perso… *Condirettore de Il Tempo