Trattativa Stato-mafia, assoluzione Mannino boccia tesi pm Palermo

LA NOTA I fatti che avrebbero riguardato l’ex ministro risalgono a una fase antecedente le stragi del ’92, e che parte il 30 gennaio di quell’anno, quando la corte di Cassazione… di Andrea Tuttoilmondo

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di Andrea Tuttoilmondo

Se vent’anni fa la mafia e lo Stato si ritrovarono a trattare per porre fine al biennio delle stragi, di quel tavolo non fu responsabile l’ex ministro della Dc Calogero Mannino. A stabilirlo è stata la sentenza con cui stamani il gup di Palermo Marina Petruzzella ha assolto, “per non aver commesso il fatto”, uno dei principali protagonisti della prima repubblica. Una decisione che boccia la tesi dei pm palermitani, che per Mannino avevano chiesto 9 anni di carcere, e secondo i quali proprio dall’esponente democristiano, preoccupato di essere ucciso dalla mafia, partì l’input per intavolare la trattativa. L’ex ministro, accusato di minaccia a corpo politico dello Stato, e difeso dagli avvocati Grazia Volo, Marcello Montalbano, Carlo Federico Grosso e Nino Caleca, ha scelto il rito abbreviato, svincolandosi in questo modo dal troncone principale del processo in corso davanti alla Corte d’Assise di Palermo, e che vede 10 imputati, tra politici, mafiosi e ufficiali dell’Arma. Di fatto, l’assoluzione di oggi consegna alla storia il primo giudizio per un imputato del processo su una delle pagine più nere del Paese. Una sentenza per certi versi storica, che segna un punto importante in quell’inchiesta avviata nel 2008 dalla Procura di Palermo, e che negli ultimi 7 anni ha toccato i livelli più alti delle istituzioni, arrivando a sfiorare, come teste, persino l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Una decisione che è difficile non immaginare possa avere “ricadute” sul processo principale. In particolare per quanto concerne il reato contestato dai pm all’imputato: il tanto criticato violenza o minaccia a un corpo politico dello Stato.

Ma quale era, nello specifico, il ruolo contestato dai pm palermitani a Mannino, e respinto dal gup? I fatti che avrebbero riguardato l’ex ministro risalgono alla prima fase della trattativa Stato-mafia. Una fase antecedente le stragi del ’92, e che parte il 30 gennaio di quell’anno, quando la corte di Cassazione confermò in via definitiva le sentenze del Maxiprocesso. Una fase in cui Mannino, preoccupato per la reazione spietata di Totò Riina e dei suoi uomini, temette per la propria vita (ancor di più dopo l’uccisione di Salvo Lima). Una fase che sarebbe stata poi l’embrione senza il quale non si sarebbe sviluppato il resto dell’impianto accusatorio che coinvolge il segmento principale del processo. Sarebbe stato per scongiurare quel pericolo di ritorsioni nei suoi confronti che, sempre secondo quanto contestano i magistrati palermitani, l’ex ministro Mannino si diede da fare incontrando l’allora capo del Ros Antonio Subranni e l’ex dirigente del Sisde Bruno Contrada, per cercare di aprire un canale di comunicazione con Cosa nostra. Paure fondate, che avrebbero trovato conferma nelle parole del boss Giovanni Brusca, il quale raccontò ai magistrati di aver iniziato a seguire l’ex ministro, fino a quando a “u verru” non arrivò l’ordine di fermarsi perché qualcosa era cambiato: era iniziata la trattativa.