APERTURA

Tre anni di pontificato Francesco, le riforme tra spine e successi

di Giuseppe Novelli

Francesco compie tre anni da Papa, oggi, e la riforma che ha avviato in Vaticano, tra resistenze e successi, giunge ormai a maturazione su diversi campi, dalla ristrutturazione della Curia romana alle tematiche della sessualità nella Chiesa, dalle spine del governo interno alla ridefinizione di una ‘diplomazia della misericordia’. E’ stato il Pontefice in persona a usare più volte esplicitamente il termine ‘riforma’, utilizzato con una certa cautela dai Papi che lo hanno preceduto. Jorge Mario Bergoglio, del resto, è stato eletto, il 13 marzo del 2013, da un Conclave di crisi, in un Vaticano marcato da scandali e contrasti, e scioccato dalla storica rinuncia al pontificato di Benedetto XVI. Il cardinale maltese Prosper Gech, che tenne l’ultima votazione prima dell’avvio delle votazioni in Cappella Sistina, evocò temi drammatici come il tradimento, gli abusi sessuali, gli scismi. Tre anni dopo, la situazione è apparentemente simile. Proprio domani riapre, un processo in Vaticano per la fuga di documenti riservati (vatileaks) che ricorda l’analogo procedimento che segnò l’unico scorcio del pontificto di Joseph Ratzinger. Ma mentre quello, a carico del maggiordomo del Papa Paolo Gabriele, risultò il sintomo di una crisi che esplose con le dimissioni del Papa, questo sembra piuttosto la coda di quella crisi. I documenti pubblicati nei due best-seller di Gianluigi Nuzzi (Via crucis) e Emiliano Fittipaldi (Avarizia), che denunciano malfunzionamenti, corruzione, bilanci fuori controlli, infatti, provengono dagli archivi della commissione che lo stesso Papa Francesco creò, a inizio pontificato, per una ricognizione della situazione economica e finanziaria dello Stato pontificio, e poi disciolse per mettere mano alla riforma. Al processo per diffusione illecita delle carte sono imputati tre funzionari di quella commissione, mons. Lucio Angel Vallejo Balda, Nicola Maio e Francesca Immacolata Chaouqui, sono coimputati anche – con un’iniziativa della magistratura vaticana che ha sollevato più di una critica in Italia – anche gli stessi giornalisti.

Ad ogni modo la riforma è proseguita, non senza resistenze, coerentemente con quella prima istruttoria. Come dimostra, proprio in questi giorni, la ‘spending review’ dei processi per le beatificazioni e le canonizzazioni o la notizia che il cardinale Tarcisio Bertone ha versato all’ospedale pediatrico Bambino Gesù 150mila euro che aveva utilizzato in una vicenda legata alla ristrutturazione del suo appartamento. Una riforma, ancora lontana dalla meta, nel nome di quella ‘Chiesa povera e per i poveri’ che il Papa argentino cerca di realizzare, a partire dal suo frugale stile di vita, seguendo le tracce di quel San Francesco d’Assisi di cui ha preso il nome. Più in generale, Francesco procede nella ridefinizione della burocrazia vaticana, con l’ausilio di una commissione di nove cardinali di tutto il mondo, il cosiddetto C9. Se nei primi due anni, però, il lavoro di questo organismo parallelo e superiore alla Curia è sembrato concentrarsi su specifiche questioni di organigramma, come l’accorpamento di alcuni dicasteri, ora il passo è cambiato. A febbraio sia il C9 che la segreteria del Sinodo hanno avviato una discussione sulla ‘decentralizzazione’ che dovrebbe – comunque non entro quest’anno – toccare il delicato nodo della devolution dottrinaria, e comunque di una maggiore partecipazione degli episcopati di tutto il mondo, nonché dei fedeli, alla guida della Chiesa. Il Papa, tornato oggi in Vaticano dopo sei giorni di ritiro spirituale ad Ariccia con la Curia romana, si avvia ora alle celebrazioni che culimneranno con la Pasqua (27 marzo). Poco dopo, è attesa la pubblicazione della esortazione apostolica che Francesco ha scritto a partire dai due sinodi sulla famiglia (straordinario nel 2014, ordinario nel 2015), esercizio di collegialità che, non senza polemiche, ha affrontato anche questioni controverse come la comunione ai divorziati risposati, la contraccezione, l’omosessualità. Tutti temi sui quali, fino al pontificato di Bergoglio, la discussione, da parte della Santa Sede, era quanto meno disincentivata, a rischio di un crescente ‘scisma silenzioso’, come è stato ribattezzato dai sociologi della religione, tra magistero della Chiesa e vita dei fedeli. Con la primavera, arrivano per il Papa tanto le rose quanto le spine. Il nodo degli abusi sessuali del clero sui minori, tornato alla luce grazie all premio Oscar al film statunitense Il caso Spotlight, si è riacceso in Vaticano con le audizioni del cardinale George Pell in video-collegamento da Roma con la commissione governativa australiana contro la pedofilia.

La questione, sulla quale la Santa Sede, da Benedetto XVI, ha fatto molti passi avanti, è ancora aperta. Lo dimostra la difficoltà che una proposta approvata dal Papa, una sezione ‘ad hoc’ presso la congregazione per la Dottrina della fede che processi i vescovi inadempienti (cioè insabbiatori), incontra nella Curia romana, le difficoltà sollevate all’idea di rendere obbligatoria la denuncia alle autorità civili dei casi sospetti di pedofilia, o i malumori registrati all’interno della pontificia commissione per la tutela dei minori che Francesco ha creato, affidandone la guida al cardinale di Boston Sean O’Malley, successore di quel Bernard Law al centro proprio del Caso Spotlight.

Papa Francesco, di certo, è molto attento alla questione (egli stesso ha dichiarato che un vescovo che sbaglia dovrebbe dimettersi). Così come – lo dimostra un libro appena uscito nel quale risponde alle lettere di babini di tutto il globo, ‘L’amore prima del mondo’ – la centralità che nel suo pontificato vuole dare ai bambini. Con l’arrivo della buona stagione, poi, è atteso un nuovo afflusso di fedeli a Roma per il Giubileo della misericordia partito un po’ in sordina, lo scorso otto dicembre, per le minacce terroristiche che gravavano su Roma dopo gli attentati di Parigi di novembre. Un evento-cardine, da questo punto di vista, dopo la traslazione a Roma delle salme di padre Pio e padre Leopoldo, potrebbe essere la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, che verrà annunciata martedì. In generale, per il Papa, è importante che la Chiesa riscopra, anche tramite il confessionale, la ‘misericordia’ di Dio, concetto lontano dal rimbrotto morale o dalla rigidità dottrinale che ha allontanato, negli anni, tanti fedeli. ‘Tutti’, ha sottolineato ieri su Famiglia cristiana il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ‘abbiamo sofferto molto dell’immagine di una Chiesa arcigna e severa, del ‘no’ piuttosto che del ‘sì’, arroccata su precetti prevalentemente negativi e fuori del tempo. Sapevamo benissimo che era un’immagine ingiusta, completamente diversa da quello che cercavamo di dire e di testimoniare; ma il clima culturale dominante andava in quel senso e noi non riuscivamo a cambiarlo. Mi pare che papa Francesco ci sia riuscito in modo molto efficace e questo mi ha dato una gioia grande e profonda’. Un atteggiamento che Papa Francesco porta anche nella politica estera. Che – lontano dalla politica italiana, dai family day o dalle alchimie parlamentari – traduce in una ‘diplomazia della misericordia’. Emersa, ad esempio, nella mediazione tra Usa e Cuba. Nell’incontro storico con il patriarca russo Kirill proprio sull’isola caraibica. Nell’appello per i migranti di tutto il mondo, che siano a Lampedusa o a Ciudad Juarez, al confine tra Messico e Stati Uniti, e anche al costo di scontrarsi con Donald Trump (o, in prospettiva, con il governo polacco, durante un viaggio previsto a luglio). O nelle ripetute dichiarazioni di simpatia verso la Cina. Strategie diplomatiche che fanno uscire definitivamente la Chiesa cattolica dalla guerra fredda o dal rischio di scontri di civiltà, da una visione occidentalista e identitaria del cattolicesimo, o – per dirla con il direttore dell Civiltà cattolica, il gesuita Antonio Spadaro – da una concezione ‘costantiniana’ che cerca un partito, se non un impero, cattolico.

Per Francesco, invece, la Chiesa deve essere ‘in uscita, mai escludente’. Per questo riallaccia i raporti con l’islam: udienza al presidente iraniano Hassan Rohani, appeasement con la Turchia che ha rinviato il suo ambasciatore a Roma dopo la polemica sull’Armenia (che rischia di riaccendersi se, a settembre, vi si recherà in visita durante un viaggio ipotizzato nella zona caucasica), prevista, nei prossimi mesi, una visita alla moschea di Roma, nonché, probabimente, un incontro con il grande imam di al-Azhar. Per questo, dopo i cordiali rapporti intrecciati con gli ortodossi (oltre a Kirill, il patriarca ecumenico Bartolomeo), quello con i protestanti, dai valdesi ricevuti di recente, per la prima volt, in Vaticano (molto apprezzato il loro progetto, insieme alla comunità di Sant’Egidio, per i corridoi umanitari dei profughi), o i luterani, che incontrerà il prossimo 31 ottobre in Svezia, a 500 anni dalla riforma di Martin Lutero. Diversa, ma sempre evangelica, la riforma che il Papa gesuita promuve a Roma. E che il ‘popolo di Dio’ pellegrino, in Vaticano così come nelle cattedrali di tutto il mondo dove si svolge questo anno santo ‘decentrato’, può efficacemente ricordare ai ‘sacerdoti’ e alle gerarchie della Curia. Confermando, dal basso, quella riforma che il Papa sta promuovendo dall’alto. Proseguendo, insieme, quel cammino iniziato il 13 marzo del 2013. Quando, affacciato dal loggione di San Pietro, il primo Papa latino-americanco della storia, disse ai fedeli: ‘Incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo’.

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