Il 15 novembre del 1988, esattamente 30 anni fa, la navetta spaziale sovietica Buran 1.01, un clone quasi perfetto dello Space Shuttle americano, affettuava il suo primo e unico volo nello Spazio senza equipaggio a bordo. Lo shuttle CCCP partì dal cosmodromo di Baikonur, in Kazakhstan e ritornò sulla Terra in maniera completamente automatica dopo un volo orbitale durato 206 minuti.
Il programma sovietico per creare un veicolo spaziale riutilizzabile, capace di partire agganciato a un razzo, l’Energia (dotato di 4 booster laterali e completamente riutilizzabile) e rientrare dall’obita come un aliante, iniziò nel 1976 – in piena guerra fredda – ma, al di là del primo volo di collaudo, non ebbe il successo sperato e fu cancellato nel 1992, con la dissoluzione dell’Unione sovietica, soprattutto a causa dei costi insostenibili; con oltre 16 miliardi di rubli si rivelò essere il più costoso e ambizioso programma spaziale mai realizzato nella storia dell’Unione sovietica.
La navetta, dalle dimensioni più o meno simili allo Shuttle della Nasa ma, contrariamente a quest’ultimo, non dotata di un proprio motore a razzo per il lancio, non volò mai con cosmonauti a bordo anche se nella sua cargo bay con portata da 30 tonnellate avrebbe potuto ospitare una navetta Sojuz che l’equipaggio avrebbe potuto utilizzare per ritornare sulla Terra in caso d’emergenza. La navetta 1.01 andò distrutta a causa del crollo del soffitto dell’hangar dov’era custodita, nel 2002. A Baikonur è custodito il secondo esemplare mentre alcune navette mai più completate dopo la chiusura del programma giacciono tuttora abbandonate semidistrutte in alcuni hangar. Alcuni veicoli test sono invece conservati nei musei di Mosca e Francoforte sul Meno, in Germania.